Ho eliminato eliminato lo scatto, perché non occorre.
Dovremmo inorridirci davanti alla sola IDEA dell’orrore.
Ma questo non ci basta più.
E non ci basta perché quel potente mezzo che è la televisioni, ci ha ABITUATO anche all’orrore, una cosa ripugnante a cui non ci si dovrebbe rassegnare mai.
Questo breve articolo, e non questa immagine, lo dedico alle Coscienze Televisive da Salotto, se così possiamo chiamarle. Non la dedico agli esecutori materiali. Le dedico a chi si professa un tutore della legge, con o senza toga.
E’ una dedica senza polemiche, ma che mi piacerebbe facesse riflettere.
Agli orrori, la televisione dedica intere strisce quotidiane.
Ci sono intere trasmissioni nate ad hoc, che camminano sulle ceneri di questi orrori, in una crescita esponenziale di entrambi.
Ci sono oratori e urlatori, alcuni dei quali senza competenze in materia giuridica, e non che questo sia un demerito.
E soprattutto da questi pensatori improvvisati nascono le più populiste e banali frasi fatte…che non sono fatte di altro se non di ricerche di consensi, di applausi, a volte persino di voti in campagna elettorale.
Si parla. Si sparla tanto, troppo.
E lo si fa con la finta, ma televisivamente accattivante, promessa di NON CHIUDERE GLI OCCHI DAVANTI ALL’ORRORE, TENENDO SEMPRE I RIFLETTORI ACCESI. Nobilissimo intento, se non fosse immediatamente seguito, per mano degli stessi portatori sani di orrore, da curve di ascolto, con tanto di numero di interventi pubblicitari e percentuali.
Ecco.
Quando inizia la percentuale, in quella curva di ascolto annega tutta la nobiltà dei propri intenti.
Si parla ad un pubblico che sceglie volutamente l’analisi macabra dell’orrore per occupare il proprio tempo libero.
E questo tempo è fine a se stesso.
L’orrore si dimentica con la stessa velocità con cui il telecomando risponde alla pressione del pollice su un altro canale.
Non ci si deve nemmeno più alzare dal divano per allontanarsi dall’orrore.
Trattiamo omicidi da seduti, con le gambe accavallate, truccati a festa.
Parliamo, parliamo di tutto e di tutti.
Andiamo a scavare nella tana dell’orso.
Senza chiederci nemmeno che cosa stiamo cercando e se quello che troveremo servirà a qualcosa.
Siamo inquirenti, tutori della legge, poliziotti, meccanici, ricercatori IMPROVVISATI. Siamo opinionisti.
Il passaggio che mi ha spinto a condividere questo post è che “[…] non serve a dire che servirebbe la forca o pene ancora più severe. Serve a dire che questi delitti sono sorretti da una cultura che, oggi come ieri, sopravvive con la complicità di contesti che parlano di violenza in termini teorici ma non vanno mai a fondo per interpretarne la natura, fatta di sopraffazione, esercizio autoritario, legittimati da chi non chiama mai le cose per nome. Per queste vittime, molto spesso donne, un ricordo pieno di rabbia. Uomini, nomi, coperti, trattati bene, in quello stesso contesto che usava fascisti per compiere stragi contro poveri, studenti, lavoratori e ribelli”.
Di fronte alle tragedie, omicidi o disagi che ledono la dignità umana, si PARLA.
E si parla a volte con toni autoritari, maleducati.
Come gli atteggiamenti che si vanno a condannare.
Ci si mette in cattedra con l’ingiustificato bisogno di dire la propria, di imporre la propria linea di pensiero.
Ci organizziamo in squadre di pensiero: colpevolisti, innocentisti, comunisti, democratici, cattolici, laici….
E parliamo, svisceriamo…per poi? Per non agire MAI.
Ci sediamo comodi a limare il callo che stiamo facendo all’orrore.
Cerchiamo consensi.
Proviamo a piangere o a far piangere.
Ci professiamo portatori di aiuti e fautori di provvedimenti che si spegneranno quando lasceremo il posto ad un altro argomento, quando cambieremo pagina.
Ci alzeremo, ci aggiusteremo le pieghe della gonna o della cravatta.
E torneremo all’ovile, felici di aver smacchiato, ancora una volta, la nostra coscienza. Nell’epoca della diretta, manca la semplicità di qualcosa su cui l’uomo dovrebbe distaccarsi dalla bestia: l’EDUCAZIONE.
Manca l’Educazione alla legalità, oltre alle pene per punire l’ILLEGALITA’.
L’articolo l’ho trovato su facebook.
Ma non ne pubblicherò, come detto, lo scatto.
“Alle 21 di martedì 30 settembre 1975, un metronotte romano, passando accanto ad un auto, sentì dei lamenti. Nel portabagagli, in un sacco dell’immondizia, c’era una ragazza agonizzante, imbrattata di sangue. Donatella Colasanti, sopravvissuta (fingendosi morta) al “massacro del Circeo”. Delitto di matrice fascista, classista e misogina. Rosaria Lopez, stava in un altro sacco nero. Morta, affogata …dopo 36 ore di stupro e torture, inflitte da tre “bravi ragazzi” della Roma bene: Giovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, che mentre decidevano come far sparire i corpi, erano allegramente andati a mangiare una pizza.
Donatella non si riprese mai e non smise mai di chiedere giustizia.
E’ morta nel 2005, dopo trent’anni vissuti male.
Angelo Izzo, rimesso in libertà, affidato ad una cooperativa sociale, ammazzò altre due donne, madre e figlia, Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni).
Questo post non serve a dire che servirebbe la forca o pene ancora più severe. Serve a dire che quei delitti furono sorretti da una cultura che ancora oggi sopravvive con la complicità di contesti che parlano di violenza in termini teorici ma non vanno mai a fondo per interpretarne la natura, fatta di sopraffazione, esercizio autoritario, legittimati da chi non chiama mai le cose per nome.
Per queste donne un ricordo pieno di rabbia.
Volendo includere Franca Rame che subì uno stupro da parte di fascisti che volevano darle una lezione.
Uomini, nomi, coperti, trattati bene, in quello stesso contesto che usava fascisti per compiere stragi contro poveri, studenti, lavoratori e ribelli”.