Oggi il caffè lo beviamo con Sandro Acerbo!
Nella vita c’è una sola cosa, secondo me, che ci rende vivi: e questa cosa è l’emozione. Abbiamo voci, colori, rumori che ogni giorno invadono le nostre vite, in primis al cinema e in televisione. Ci passano davanti immagini, volti più o meno espressivi. Ma spenta quella scatola, qualcosa resta dentro. Avevo tre anni quando guardavo il cartone animato Holly e Benji e Giorgio Borghetti mi ha stregata.
Mi ero appassionata a qualcosa che era di cartone, che non esisteva. E la andavo a cercare ogni volta che stavo davanti alla televisione. Con gli anni, ho capito che quel qualcosa non era un suono, ma un pugno in pancia, un’immagine sonora che ti resta dentro anche quando un volto perde di consistenza.
Restano le sfumature di Patrick Jane davanti all’uomo che ha distrutto la sua vita per capriccio: restano le sfumature di quelle domande, se fosse pentito, se avesse paura di morire.
Quel guizzo arguto, quella voce rotta.
Sandro Acerbo per me non è Brad Pitt, Simon Baker o Will Smith: Sandro è qualcuno che entra ogni volta in un corpo diverso e lo riempie di sfumature, di anima, di carattere. E oggi è stata una giornata che ricorderò perché ho avuto un’emozione grande.
Sii fiero sempre di te stesso e quindi del tuo lavoro, molto più che un mestiere.
Emozionata ma molto orgogliosa, intraprendo quella che non sarà una serie di domande-risposte, ma una stupenda chiacchierata con un immenso Sandro Acerbo. Un uomo colto, posato, un professionista, un papà.
Una laurea in Giurisprudenza come soddisfazione personale e per i suoi genitori che lo hanno sempre sostenuto, conseguita con tanti sacrifici, dividendo la sua vita tra sale di doppiaggio e libri, con poco tempo per gli svaghi e le gite al mare con i suoi coetanei. Intraprende la carriera nel mondo della voce da piccolissimo: da La Carica dei 101 a Mary Poppins.
A 10 anni o poco più divide il leggìo con due immensi artisti, Monica Vitti ed Alberto Sordi.
I suoi maestri sono stati un patrimonio che i suoi colleghi di questa generazione, probabilmente, non potranno mai avere. E allora, quando hai davanti una persona così ricca e così piena di sfumature, non puoi non emozionarti.
Partiamo con un aneddoto, che si aggancia ai miei complimenti per il “suo” Patrick Jane, il Mentalist che tutte le settimane, da anni, ci tiene svegli 🙂 Pensa che ai provini per Simon Baker erano state scelte, come spesso accade, tre voci, ed io non ero tra queste.
Per un caso fortuito, o forse per destino, uno dei tre candidati non si presentò al provino e io mi trovavo lì in quel momento. Il direttore allora mi disse “Sandro, sto in difficoltà…ti va di farmi sto provino?” Il come andò quel provino, è cosa nota 🙂
Patrick ha un vissuto profondo che tiene le fila della trama, ma ha una caratteristica fondamentale che appartiene anche a me, ed è l’ironia. E’ quella peculiarità che lo rende affascinante, astuto, brillante nella risoluzione di casi quasi impossibili, ma soprattutto che lo ha tenuto vivo appunto nelle sue vicende più drammatiche. Io mi piaccio molto come interprete di questi caratteri ironici, mi trovo a mio agio.
Anche Will Smith, nelle sue interpretazioni più spiritose, è entrato bene nelle mie corde…o io nelle sue 🙂
Sto comodo su questi personaggi perché nella mia vita sono allegro, mi piace vivere serenamente e con entusiasmo, partendo dalle piccole quotidianità.
Mi lancio molto, il mio è un andare all’attacco in modo propositivo.
Ti viene riconosciuta questa tua straordinaria maestria e bravura, Sandro? Devo dirti che, in tantissimi anni di carriera, quasi 50 ani, questo è stato un anno eccezionale per me, dal punto di vista delle soddisfazioni, dei premi. Finalmente capisco che la gente sta cominciando a capirci! Sta cominciando a prendere coscienza che non siamo dei Topi di Sala, ma siamo attori, anche se nell’ombra. Noi abbiamo un approccio totale con il personaggio e questo si traduce non solo in voce, che è la partenza, ma in emozione. La mia immensa fortuna ed il mio immenso privilegio sono quelli di aver lavorato con dei maestri, con dei grandi, con i più grandi: Giulio Panicali, Emilio Cigoli, Pino Locchi. E capitava anche che in produzioni italiane, quando i protagonisti dovevano doppiarsi, potevi trovarti al leggìo con Monica Vitti ed Alberto Sordi, come è capitato a me…una scuola irripetibile, con dei maestri che non nascono più, purtroppo.
Tu Sandro hai un approccio totale alla voce: Attore, doppiatore, dialoghista, direttore di doppiaggio. Quale ruolo ti sta più comodo, quale ti diverte di più?
Il ruolo che mi sta più comodo è quello dell’attore/doppiatore perché rispecchia il mio carattere espansivo, il mio amore per il parlare, per lo stare con le persone, per la condivisione di esperienze.
Il lavoro del dialoghista è quello forse un po’ più solitario, ne sento forse di più la fatica perché magari mi trovo a farlo la sera tardi, tornando da una giornata intensa in sala. Però anche la fatica è un qualcosa più fisico che mentale: se ti approcci ad un film che ti è vicino, nelle tue corde, è tutto più facile e senti meno quel peso delle ore di lavoro che ti porti addosso. Il ruolo comunque che preferisco è diviso quasi equamente tra doppiatore e direttore di doppiaggio…sono quasi al cinquanta percento 🙂
Mi aggancio a questo per focalizzarmi un po’ sulla figura di Direttore di Doppiaggio che io immagino come un Regista della voce, un direttore d’orchestra. Il segreto di un bravo direttore e come ti vesti tu in questo ruolo.
Nel doppiaggio, quando hai fatto la scelta delle voci, quando le hai messe al posto giusto, il lavoro è quasi fatto. Il tuo valore aggiunto in quel ruolo è quello di spiegare a ciascun doppiatore la storia, il personaggio che andranno ad interpretare, di farli entrare in quel mondo, in quel corpo, in quello sguardo e in quella battuta.
Sei severo in questa veste? I tuoi colleghi ti hanno dedicato parole straordinarie, ma voglio il tuo giudizio su te stesso.
Non sono severo, direi di no. La mia severità, se vogliamo chiamarla così, è nell’esigere quello stesso rispetto che io do agli altri, dagli attori ai fonici, agli assistenti. Sono puntuale, preciso, ma allo stesso tempo mi piace la serenità, la risata. E’ comunque il rispetto la chiave di tutto: se i tuoi attori ti rispettano, se si fidano di te, si sentono più sicuri, più coinvolti, protetti. Si sentono sicuri anche che il prodotto del loro lavoro e del tuo sarà eccellente. Un direttore, e per fortuna ce ne sono pochi, che reputo “non bravo” è quello che non ti dà le indicazioni giuste, che non si accorge dei tuoi errori…quello che ti spinge a sbagliare apposta per poter ripetere quella battura, così come andava fatta.
Le tue affinità con i tuoi compagni al leggìo e con i direttori.
Al leggìo e alla direzione non posso farti un nome solo, ce ne sono tanti.
Con Christian Iansante, anche se ci incrociamo poco, ho una grande affinità.
Ma ce l’ho anche con Riccardo Rossi, con Claudia Catani.
E poi c’è Francesco Prando che fa questo lavoro da tantissimi anni, come me.
E’ una persona deliziosa, con cui tante affinità e tanti punti in comune.
La scorsa estate, ad Alghero, in occasione del Leggio d’Oro, abbiamo entrambi ritirato un premio e abbiamo avuto modo di conoscerci un po’ di più, di “viverci”, diciamo così! E confermo che è una persona straordinaria.
Poi, negli ultimi tre 007, abbiamo lavorato insieme, io come direttore e lui come James Bond: un’esperienza davvero bella, professionalmente ed umanamente.
Quando non sono io a dirigere, ho una grande affinità con Roberto Chevalier, Alessandro Rossi, Mario Cordova: sono davvero dei leader in questa veste.
Ma farti dei nomi è anche riduttivo se vuoi. Lo spunto di questo lavoro, la base, è la collaborazione.
Quando sono al leggìo, non sono mai passivo, vivo sempre un costante rapporto di simbiosi, di scambio di idee, di collaborazione tra tutti gli anelli di questa catena, dal fonico all’assistente. Siamo una squadra e ognuno dà il proprio contributo, la propria idea, la propria proposta, i consigli, le indicazioni; è il direttore poi che decide, ma ognuno è parte integrante del progetto, dell’equipe.
Tu hai dato la tua voce e la tua anima a tantissimi grandi del cinema, da Brad Pitt a Robert Downey Junior a Will Smith a Michael J. Fox a Nicholas Cage.
Ti faccio una domanda al contrario. Spesso si chiede quale di loro ti abbia dato qualcosa in più degli altri, mentre io ti chiedo a chi hai dato tu quel qualcosa in più che ha contribuito, qui in Italia, a renderlo ancora più amato, più particolare, più piacevole?
Come dici tu, io ho la fortuna di misurarmi con grandissimi attori e spesso sono loro che mi arricchiscono, che mi lasciano qualcosa di importante. Però rispondo alla tua domanda con un caso concreto: io e Pasquale Anselmo ci “dividiamo” l’interpretazione italiana su Nicholas Cage. Ecco, a questo attore, che io trovo, a gusto personale, un po’ “piatto”, un po’ sempre simile a se stesso, sempre autore delle stesse espressioni in situazioni magari diverse tra loro, io e Pasquale abbiamo dato quel QUID in più, quella marcia, quella sfumatura che magari lui, in originale, non ha. Quando ero un ragazzino, un direttore romagnolo, Savini, mi disse semplicemente: “Il personaggio? Guardalo, è lì davanti a te, è lui. Fai quel che fa lui!”
Il senso è che noi dobbiamo mantenere, senza aggiungere nulla, quel che andiamo a tradurre nella nostra lingua: l’attore che hai davanti ha già fatto tutto. Brad Pitt è cresciuto molto in ogni suo ruolo: questo è un caso in cui accade il contrario, ovvero che io non debba appunto aggiungere niente, è straordinario.
L’interprete che in questo momento della tua vita che senti quindi più naturale, più vicino a te, è lui?
Direi di si, questo percorso di crescita che ha fatto, queste sue sfumature: mi piace molto. Anche se, come dicevamo prima, il Will Smith in versione brillante mi piace molto.
Tu che sei un maestro della voce, me la sai definire? Che cos’è la VOCE, Sandro? Io la vivo molto la voce: per me LA voce, non UNA voce, è quella che ti arriva in pancia, dritta, come un pugno, che ti smuove dentro.
Bella e difficile questa domanda! La voce spesso rispecchia la persona che la “indossa”: non in senso prettamente estetico, ma per ciò che si porta dentro. Se una persona è perbene, onesta, buona, me ne accorgo subito dalla voce. E lo stesso vale per le caratteristiche opposte. La voce non può mentire, è lo specchio di quello che sei. Qualcuno prova a camuffarla, ad impostarla: lì diventa semplicemente voce, magari una bella voce, ma vuota, priva di emozioni.
Vorrei focalizzarmi su un prodotto particolare, breve ma intenso, ovvero lo SPOT PUBBLICITARIO ed il ruolo della voce in quei velocissimi trenta secondi in cui tu diventi l’anello di congiunzione tra il prodotto e la mia decisione, l’indomani, di acquistarlo o no. Tu sei parte anche di questo genere di prodotto e quindi vorrei un’opinione “dal di dentro”.
Il doppiaggio negli spot pubblicitari è un mestiere ed un mondo a parte. Ci sono eccellenti doppiatori inadatti a quel prodotto e magari doppiatori un po’ meno brillanti che invece sono eccezionali. E’ un mondo a sé perché in quello spazio così breve puoi veramente mettere poco di te; devi generare e trasmettere un’emozione a qualcuno che sta dall’altra parte e devi farlo magari attraverso un oggetto e non una persona. Il “bucare” vocalmente lo schermo, in queste lavorazioni, è un po’ un dono che non puoi curare negli anni, ce lo devi avere dentro. Devi essere simpatico, accattivante. E’ una lavorazione che mi diverte molto. La abbino anche alle lavorazioni che io, Christian Iansante, Chiara Colizzi e poi altri facciamo per esempio per Sky. Sono piccoli interventi che devono avere però un potenziale ed un’immediatezza fortissimi.
Che cosa ammiri nelle donne e che cosa negli uomini.
Voi donne, lo dico sempre anche a mia moglie, avete una marcia in più. Noi uomini arriviamo, ma magari un attimo dopo… 🙂
Io in generale dell’essere umano, senza distinguere troppo tra uomini e donne, ammiro la spontaneità, la sincerità. Mi trovo bene con persone, e spesso sono fuori dal mio ambiente di lavoro, con le quali non c’è una competizione. Mi piacciono le persone che, con te, vanno al di là dei propri interessi. Se si è nello stesso ambiente, quindi se ci si trova a fare lo stesso lavoro, è normale, è umano che nasca una competizione, una rivalità, che può minare l’autenticità dei rapporti.
Magari ei con un collega e il giorno prima abbiamo fatto entrambi un provino: quando inizi a pensare “speriamo che sia io e non lui” si è già rotto qualcosa in quel rapporto umano, si è alzata una barriera; ma ripeto, è umano che sia così.
Per questo credo che i rapporti più autentici, disinteressati e spontanei siano fuori dall’ambiente lavorativo.
Abbiamo poi divagato sul mio percorso di studi, sulla mia carriera sempre appesa ad un filo… 🙂 Mi dice di sentirsi un privilegiato per avere un lavoro che lo gratifica. Dopo così tanti anni, si sente felice ogni mattina quando si sveglia per andare a lavorare. Io gli dico che il suo mestiere è la sua passione e quindi è questo che gli dà quella carica. Conveniamo che comunque sono gli obiettivi, gli hobbies, le passioni che ti pungolano, che ti tengono sempre sveglio, stimolato, proiettato in avanti e mai fermo o con gli occhi indietro.
E si finisce a parlare di Bellezza.
Il bello esiste, è ovunque: in una donna, in una macchina. Ma è una partenza. Il bello è quello che quel qualcosa dà a te, non è mai fine a se stesso. C’è appunto questa bellezza in senso assoluto, estetico, che ti appaga al primo sguardo. Ma c’è poi quella bellezza di sottofondo, quella che ti cattura, quella soggettiva, magari nascosta, invisibile per qualcuno, ma che andrà ad influire sui tuoi stati d’animo, sulle tue scelte, sulla tua vita.
Ce l’hai la ricetta del Buon Vivere?
Non ho una ricetta vera e propria. So che cosa dà a me un senso di buon vivere. Questo senso me lo dà l’avere una famiglia felice, due figli eccezionali, una vita normale fatta di entusiasmo. Se devo dirti un ingrediente, ti dico quello principale, che è l’entusiasmo, in tutto, dalle piccole alle grandi cose. Vedo gente che ha tanto, magari di materiale, che sembra non vivere, ma sopravvivere, senza sapere che cosa la renda felice, che alla domanda “Come stai?” ti risponde con un “mah, così”. Alla domanda Come Stai? si risponde con un Bene o con un Male: non esiste questa inconsapevolezza!
Che papà sei Sandro? Dimmelo in tre parole.
Sono capitati spesso i tuoi figli nei nostri discorsi e questo, da figlia, lo trovo emozionante.
Troppo premuroso, troppo apprensivo, ma anche presente. Cerco di non essere pressante e nonostante io sia fuori casa per lavoro praticamente tutto il giorno, la sera, a tavola, sul divano, quelle ore che trascorriamo insieme devono essere corpose. C’è un libro che in questo ultimo periodo mi ha fatto molto riflettere; è un libro scritto da una ex insegnante e si intitola “Non so niente di te”. Mi sta facendo molto riflettere, soprattutto su certe convinzioni che spesso noi genitori abbiamo sulla felicità dei nostri figli: li vediamo contenti, ma magari non è davvero così. E’ una lettura che ti spinge a valutare i problemi, a riflettere su quello che dovrebbe essere il tuo limite massimo, come genitore, oltre il quale non puoi arrivare.
Sei esattamente dove vorresti essere Sandro?
Si. Spesso magari vorrei fuggire verso mete lontane, ma si tratta di fughe brevi, per ritornare poi a casa. Certo Se le fughe fossero eterne, dovremmo fuggire dalle fughe!
Ti piace il caffè? Io le mia passioni le ho racchiuse qui, nella mia stanza del caffè. Perciò la domanda è d’obbligo 🙂
Moltissimo. E’ stata la mia compagnia negli anni faticosissimi dell’università. Io lavoravo e studiamo contemporaneamente. Allo studio mi dedicavo la sera e il sabato e la domenica. Mia madre alle nove in punto del sabato mattina mi preparava una bella Moka da nove tazze che mi accompagnava fino alla sera! Il mio rapporto con il caffè è stato quindi da sempre molto stretto, siamo stati molto vicini!
Nell’ultima domanda, Sandro, c’è un GRAZIE che racchiude tante cose. Io do molta importanza alla professionalità, al mestiere. Io non sono una giornalista di mestiere. Faccio questi ritratti perché sono la passione che mi tiene viva, che mi fa guardare avanti, che mi pungolano, come dici tu, per tenermi sempre sveglia. Non so come io sia in questo strano ruolo di “intervistatrice”, ma so quanto mi piace…basterà?
Tu, che sei un professionista, ti sei messo nelle mie mani inesperte e, nel ringraziarti, ti chiedo: perché hai accettato questa intervista?
Prendilo come un complimento, Elisa. Di interviste i tuoi “colleghi professionisti” me ne hanno fatte tante. Ma nelle tue domande, ed quello che ci ha fatto chiacchierare per tanto tanto, non c’era banalità. E io questo lo apprezzo moltissimo.