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~ La vita è come il caffè: puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, ma se lo vuoi far diventare dolce, devi girare il cucchiaino. A stare fermi non succede niente.

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Quello che gli uomini dicono – Intervista a Sandro Acerbo

29 venerdì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in About YOU - Le mie interviste

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Oggi il caffè lo beviamo con Sandro Acerbo!

Nella vita c’è una sola cosa, secondo me, che ci rende vivi: e questa cosa è l’emozione. Abbiamo voci, colori, rumori che ogni giorno invadono le nostre vite, in primis al cinema e in televisione. Ci passano davanti immagini, volti più o meno espressivi. Ma spenta quella scatola, qualcosa resta dentro. Avevo tre anni quando guardavo il cartone animato Holly e Benji e Giorgio Borghetti mi ha stregata.
Mi ero appassionata a qualcosa che era di cartone, che non esisteva. E la andavo a cercare ogni volta che stavo davanti alla televisione. Con gli anni, ho capito che quel qualcosa non era un suono, ma un pugno in pancia, un’immagine sonora che ti resta dentro anche quando un volto perde di consistenza.
Restano le sfumature di Patrick Jane davanti all’uomo che ha distrutto la sua vita per capriccio: restano le sfumature di quelle domande, se fosse pentito, se avesse paura di morire.
Quel guizzo arguto, quella voce rotta.
Sandro Acerbo per me non è Brad Pitt, Simon Baker o Will Smith: Sandro è qualcuno che entra ogni volta in un corpo diverso e lo riempie di sfumature, di anima, di carattere. E oggi è stata una giornata che ricorderò perché ho avuto un’emozione grande.
Sii fiero sempre di te stesso e quindi del tuo lavoro, molto più che un mestiere.

Emozionata ma molto orgogliosa, intraprendo quella che non sarà una serie di domande-risposte, ma una stupenda chiacchierata con un immenso Sandro Acerbo. Un uomo colto, posato, un professionista, un papà.
Una laurea in Giurisprudenza come soddisfazione personale e per i suoi genitori che lo hanno sempre sostenuto, conseguita con tanti sacrifici, dividendo la sua vita tra sale di doppiaggio e libri, con poco tempo per gli svaghi e le gite al mare con i suoi coetanei. Intraprende la carriera nel mondo della voce da piccolissimo: da La Carica dei 101 a Mary Poppins.
A 10 anni o poco più divide il leggìo con due immensi artisti, Monica Vitti ed Alberto Sordi.
I suoi maestri sono stati un patrimonio che i suoi colleghi di questa generazione, probabilmente, non potranno mai avere. E allora, quando hai davanti una persona così ricca e così piena di sfumature, non puoi non emozionarti.

Partiamo con un aneddoto, che si aggancia ai miei complimenti per il “suo” Patrick Jane, il Mentalist che tutte le settimane, da anni, ci tiene svegli 🙂 Pensa che ai provini per Simon Baker erano state scelte, come spesso accade, tre voci, ed io non ero tra queste.
Per un caso fortuito, o forse per destino, uno dei tre candidati non si presentò al provino e io mi trovavo lì in quel momento. Il direttore allora mi disse “Sandro, sto in difficoltà…ti va di farmi sto provino?” Il come andò quel provino, è cosa nota 🙂
Patrick ha un vissuto profondo che tiene le fila della trama, ma ha una caratteristica fondamentale che appartiene anche a me, ed è l’ironia. E’ quella peculiarità che lo rende affascinante, astuto, brillante nella risoluzione di casi quasi impossibili, ma soprattutto che lo ha tenuto vivo appunto nelle sue vicende più drammatiche. Io mi piaccio molto come interprete di questi caratteri ironici, mi trovo a mio agio.
Anche Will Smith, nelle sue interpretazioni più spiritose, è entrato bene nelle mie corde…o io nelle sue 🙂
Sto comodo su questi personaggi perché nella mia vita sono allegro, mi piace vivere serenamente e con entusiasmo, partendo dalle piccole quotidianità.
Mi lancio molto, il mio è un andare all’attacco in modo propositivo.

Ti viene riconosciuta questa tua straordinaria maestria e bravura, Sandro? Devo dirti che, in tantissimi anni di carriera, quasi 50 ani, questo è stato un anno eccezionale per me, dal punto di vista delle soddisfazioni, dei premi. Finalmente capisco che la gente sta cominciando a capirci! Sta cominciando a prendere coscienza che non siamo dei Topi di Sala, ma siamo attori, anche se nell’ombra. Noi abbiamo un approccio totale con il personaggio e questo si traduce non solo in voce, che è la partenza, ma in emozione. La mia immensa fortuna ed il mio immenso privilegio sono quelli di aver lavorato con dei maestri, con dei grandi, con i più grandi: Giulio Panicali, Emilio Cigoli, Pino Locchi. E capitava anche che in produzioni italiane, quando i protagonisti dovevano doppiarsi, potevi trovarti al leggìo con Monica Vitti ed Alberto Sordi, come è capitato a me…una scuola irripetibile, con dei maestri che non nascono più, purtroppo.

Tu Sandro hai un approccio totale alla voce: Attore, doppiatore, dialoghista, direttore di doppiaggio. Quale ruolo ti sta più comodo, quale ti diverte di più?
Il ruolo che mi sta più comodo è quello dell’attore/doppiatore perché rispecchia il mio carattere espansivo, il mio amore per il parlare, per lo stare con le persone, per la condivisione di esperienze.
Il lavoro del dialoghista è quello forse un po’ più solitario, ne sento forse di più la fatica perché magari mi trovo a farlo la sera tardi, tornando da una giornata intensa in sala. Però anche la fatica è un qualcosa più fisico che mentale: se ti approcci ad un film che ti è vicino, nelle tue corde, è tutto più facile e senti meno quel peso delle ore di lavoro che ti porti addosso. Il ruolo comunque che preferisco è diviso quasi equamente tra doppiatore e direttore di doppiaggio…sono quasi al cinquanta percento 🙂

Mi aggancio a questo per focalizzarmi un po’ sulla figura di Direttore di Doppiaggio che io immagino come un Regista della voce, un direttore d’orchestra. Il segreto di un bravo direttore e come ti vesti tu in questo ruolo.
Nel doppiaggio, quando hai fatto la scelta delle voci, quando le hai messe al posto giusto, il lavoro è quasi fatto. Il tuo valore aggiunto in quel ruolo è quello di spiegare a ciascun doppiatore la storia, il personaggio che andranno ad interpretare, di farli entrare in quel mondo, in quel corpo, in quello sguardo e in quella battuta.

Sei severo in questa veste? I tuoi colleghi ti hanno dedicato parole straordinarie, ma voglio il tuo giudizio su te stesso.
Non sono severo, direi di no. La mia severità, se vogliamo chiamarla così, è nell’esigere quello stesso rispetto che io do agli altri, dagli attori ai fonici, agli assistenti. Sono puntuale, preciso, ma allo stesso tempo mi piace la serenità, la risata. E’ comunque il rispetto la chiave di tutto: se i tuoi attori ti rispettano, se si fidano di te, si sentono più sicuri, più coinvolti, protetti. Si sentono sicuri anche che il prodotto del loro lavoro e del tuo sarà eccellente. Un direttore, e per fortuna ce ne sono pochi, che reputo “non bravo” è quello che non ti dà le indicazioni giuste, che non si accorge dei tuoi errori…quello che ti spinge a sbagliare apposta per poter ripetere quella battura, così come andava fatta.

Le tue affinità con i tuoi compagni al leggìo e con i direttori.
Al leggìo e alla direzione non posso farti un nome solo, ce ne sono tanti.
Con Christian Iansante, anche se ci incrociamo poco, ho una grande affinità.
Ma ce l’ho anche con Riccardo Rossi, con Claudia Catani.
E poi c’è Francesco Prando che fa questo lavoro da tantissimi anni, come me.
E’ una persona deliziosa, con cui tante affinità e tanti punti in comune.
La scorsa estate, ad Alghero, in occasione del Leggio d’Oro, abbiamo entrambi ritirato un premio e abbiamo avuto modo di conoscerci un po’ di più, di “viverci”, diciamo così! E confermo che è una persona straordinaria.
Poi, negli ultimi tre 007, abbiamo lavorato insieme, io come direttore e lui come James Bond: un’esperienza davvero bella, professionalmente ed umanamente.

Quando non sono io a dirigere, ho una grande affinità con Roberto Chevalier, Alessandro Rossi, Mario Cordova: sono davvero dei leader in questa veste.
Ma farti dei nomi è anche riduttivo se vuoi. Lo spunto di questo lavoro, la base, è la collaborazione.
Quando sono al leggìo, non sono mai passivo, vivo sempre un costante rapporto di simbiosi, di scambio di idee, di collaborazione tra tutti gli anelli di questa catena, dal fonico all’assistente. Siamo una squadra e ognuno dà il proprio contributo, la propria idea, la propria proposta, i consigli, le indicazioni; è il direttore poi che decide, ma ognuno è parte integrante del progetto, dell’equipe.

Tu hai dato la tua voce e la tua anima a tantissimi grandi del cinema, da Brad Pitt a Robert Downey Junior a Will Smith a Michael J. Fox a Nicholas Cage.
Ti faccio una domanda al contrario. Spesso si chiede quale di loro ti abbia dato qualcosa in più degli altri, mentre io ti chiedo a chi hai dato tu quel qualcosa in più che ha contribuito, qui in Italia, a renderlo ancora più amato, più particolare, più piacevole?

Come dici tu, io ho la fortuna di misurarmi con grandissimi attori e spesso sono loro che mi arricchiscono, che mi lasciano qualcosa di importante. Però rispondo alla tua domanda con un caso concreto: io e Pasquale Anselmo ci “dividiamo” l’interpretazione italiana su Nicholas Cage. Ecco, a questo attore, che io trovo, a gusto personale, un po’ “piatto”, un po’ sempre simile a se stesso, sempre autore delle stesse espressioni in situazioni magari diverse tra loro, io e Pasquale abbiamo dato quel QUID in più, quella marcia, quella sfumatura che magari lui, in originale, non ha. Quando ero un ragazzino, un direttore romagnolo, Savini, mi disse semplicemente: “Il personaggio? Guardalo, è lì davanti a te, è lui. Fai quel che fa lui!”
Il senso è che noi dobbiamo mantenere, senza aggiungere nulla, quel che andiamo a tradurre nella nostra lingua: l’attore che hai davanti ha già fatto tutto. Brad Pitt è cresciuto molto in ogni suo ruolo: questo è un caso in cui accade il contrario, ovvero che io non debba appunto aggiungere niente, è straordinario.

L’interprete che in questo momento della tua vita che senti quindi più naturale, più vicino a te, è lui?
Direi di si, questo percorso di crescita che ha fatto, queste sue sfumature: mi piace molto. Anche se, come dicevamo prima, il Will Smith in versione brillante mi piace molto.

Tu che sei un maestro della voce, me la sai definire? Che cos’è la VOCE, Sandro? Io la vivo molto la voce: per me LA voce, non UNA voce, è quella che ti arriva in pancia, dritta, come un pugno, che ti smuove dentro.
Bella e difficile questa domanda! La voce spesso rispecchia la persona che la “indossa”: non in senso prettamente estetico, ma per ciò che si porta dentro. Se una persona è perbene, onesta, buona, me ne accorgo subito dalla voce. E lo stesso vale per le caratteristiche opposte. La voce non può mentire, è lo specchio di quello che sei. Qualcuno prova a camuffarla, ad impostarla: lì diventa semplicemente voce, magari una bella voce, ma vuota, priva di emozioni.

Vorrei focalizzarmi su un prodotto particolare, breve ma intenso, ovvero lo SPOT PUBBLICITARIO ed il ruolo della voce in quei velocissimi trenta secondi in cui tu diventi l’anello di congiunzione tra il prodotto e la mia decisione, l’indomani, di acquistarlo o no. Tu sei parte anche di questo genere di prodotto e quindi vorrei un’opinione “dal di dentro”.
Il doppiaggio negli spot pubblicitari è un mestiere ed un mondo a parte. Ci sono eccellenti doppiatori inadatti a quel prodotto e magari doppiatori un po’ meno brillanti che invece sono eccezionali. E’ un mondo a sé perché in quello spazio così breve puoi veramente mettere poco di te; devi generare e trasmettere un’emozione a qualcuno che sta dall’altra parte e devi farlo magari attraverso un oggetto e non una persona. Il “bucare” vocalmente lo schermo, in queste lavorazioni, è un po’ un dono che non puoi curare negli anni, ce lo devi avere dentro. Devi essere simpatico, accattivante. E’ una lavorazione che mi diverte molto. La abbino anche alle lavorazioni che io, Christian Iansante, Chiara Colizzi e poi altri facciamo per esempio per Sky. Sono piccoli interventi che devono avere però un potenziale ed un’immediatezza fortissimi.

Che cosa ammiri nelle donne e che cosa negli uomini.
Voi donne, lo dico sempre anche a mia moglie, avete una marcia in più. Noi uomini arriviamo, ma magari un attimo dopo… 🙂
Io in generale dell’essere umano, senza distinguere troppo tra uomini e donne, ammiro la spontaneità, la sincerità. Mi trovo bene con persone, e spesso sono fuori dal mio ambiente di lavoro, con le quali non c’è una competizione. Mi piacciono le persone che, con te, vanno al di là dei propri interessi. Se si è nello stesso ambiente, quindi se ci si trova a fare lo stesso lavoro, è normale, è umano che nasca una competizione, una rivalità, che può minare l’autenticità dei rapporti.
Magari ei con un collega e il giorno prima abbiamo fatto entrambi un provino: quando inizi a pensare “speriamo che sia io e non lui” si è già rotto qualcosa in quel rapporto umano, si è alzata una barriera; ma ripeto, è umano che sia così.
Per questo credo che i rapporti più autentici, disinteressati e spontanei siano fuori dall’ambiente lavorativo.

Abbiamo poi divagato sul mio percorso di studi, sulla mia carriera sempre appesa ad un filo… 🙂 Mi dice di sentirsi un privilegiato per avere un lavoro che lo gratifica. Dopo così tanti anni, si sente felice ogni mattina quando si sveglia per andare a lavorare. Io gli dico che il suo mestiere è la sua passione e quindi è questo che gli dà quella carica. Conveniamo che comunque sono gli obiettivi, gli hobbies, le passioni che ti pungolano, che ti tengono sempre sveglio, stimolato, proiettato in avanti e mai fermo o con gli occhi indietro.

E si finisce a parlare di Bellezza.
Il bello esiste, è ovunque: in una donna, in una macchina. Ma è una partenza. Il bello è quello che quel qualcosa dà a te, non è mai fine a se stesso. C’è appunto questa bellezza in senso assoluto, estetico, che ti appaga al primo sguardo. Ma c’è poi quella bellezza di sottofondo, quella che ti cattura, quella soggettiva, magari nascosta, invisibile per qualcuno, ma che andrà ad influire sui tuoi stati d’animo, sulle tue scelte, sulla tua vita.

Ce l’hai la ricetta del Buon Vivere?
Non ho una ricetta vera e propria. So che cosa dà a me un senso di buon vivere. Questo senso me lo dà l’avere una famiglia felice, due figli eccezionali, una vita normale fatta di entusiasmo. Se devo dirti un ingrediente, ti dico quello principale, che è l’entusiasmo, in tutto, dalle piccole alle grandi cose. Vedo gente che ha tanto, magari di materiale, che sembra non vivere, ma sopravvivere, senza sapere che cosa la renda felice, che alla domanda “Come stai?” ti risponde con un “mah, così”. Alla domanda Come Stai? si risponde con un Bene o con un Male: non esiste questa inconsapevolezza!

Che papà sei Sandro? Dimmelo in tre parole.
Sono capitati spesso i tuoi figli nei nostri discorsi e questo, da figlia, lo trovo emozionante.
Troppo premuroso, troppo apprensivo, ma anche presente. Cerco di non essere pressante e nonostante io sia fuori casa per lavoro praticamente tutto il giorno, la sera, a tavola, sul divano, quelle ore che trascorriamo insieme devono essere corpose. C’è un libro che in questo ultimo periodo mi ha fatto molto riflettere; è un libro scritto da una ex insegnante e si intitola “Non so niente di te”. Mi sta facendo molto riflettere, soprattutto su certe convinzioni che spesso noi genitori abbiamo sulla felicità dei nostri figli: li vediamo contenti, ma magari non è davvero così. E’ una lettura che ti spinge a valutare i problemi, a riflettere su quello che dovrebbe essere il tuo limite massimo, come genitore, oltre il quale non puoi arrivare.

Sei esattamente dove vorresti essere Sandro?
Si. Spesso magari vorrei fuggire verso mete lontane, ma si tratta di fughe brevi, per ritornare poi a casa. Certo Se le fughe fossero eterne, dovremmo fuggire dalle fughe!

Ti piace il caffè? Io le mia passioni le ho racchiuse qui, nella mia stanza del caffè. Perciò la domanda è d’obbligo 🙂
Moltissimo. E’ stata la mia compagnia negli anni faticosissimi dell’università. Io lavoravo e studiamo contemporaneamente. Allo studio mi dedicavo la sera e il sabato e la domenica. Mia madre alle nove in punto del sabato mattina mi preparava una bella Moka da nove tazze che mi accompagnava fino alla sera! Il mio rapporto con il caffè è stato quindi da sempre molto stretto, siamo stati molto vicini!

Nell’ultima domanda, Sandro, c’è un GRAZIE che racchiude tante cose. Io do molta importanza alla professionalità, al mestiere. Io non sono una giornalista di mestiere. Faccio questi ritratti perché sono la passione che mi tiene viva, che mi fa guardare avanti, che mi pungolano, come dici tu, per tenermi sempre sveglia. Non so come io sia in questo strano ruolo di “intervistatrice”, ma so quanto mi piace…basterà?
Tu, che sei un professionista, ti sei messo nelle mie mani inesperte e, nel ringraziarti, ti chiedo: perché hai accettato questa intervista? 
Prendilo come un complimento, Elisa. Di interviste i tuoi “colleghi professionisti” me ne hanno fatte tante. Ma nelle tue domande, ed quello che ci ha fatto chiacchierare per tanto tanto, non c’era banalità. E io questo lo apprezzo moltissimo.

Dei Diritti e dei Doveri.

27 mercoledì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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“Passa il referendum popolare col 62,1%. La Repubblica della “verde isola” è il primo Paese a modificare la Costituzione passando da una consultazione popolare. L’Irlanda dice SI, ATTRAVERSO LA VOCE DEL POPOLO, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso”.

Lo scetticismo di coloro che si oppongono con il corpo e con la mente alla legittimazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, in parte, passa dallo spettro delle conseguenti papabili adozioni.
Quindi credo che la premessa sia doverosa.
La questione delle adozioni è un tema delicato, ancora con parecchie lacune, per qualsiasi tipo di individuo: per le coppie eterosessuali e/o per quelle omosessuali per le coppie agiate e/o per quelle economicamente più povere Per le coppie regolarmente sposate o per le coppie che “semplicemente” convivono per chi non è una coppia, bensì single, nelle formule eterosessuale/omosessuale/agiato/diversamente agiato.

Per ciascuna di queste “categorie standard” ci sono poi le sottocategorie, non meno importanti, che qualificano la felicità o meno della propria condizione, che dovrebbe essere il requisito base per intraprendere un percorso di adozione.

L’adozione ha mille e mille fattori e sfaccettature da valutare per poter dire SI, che dovrebbero essere indipendenti dal tema del “contratto” con cui sono legate le persone che ne fanno richiesta. Quindi è bene fare un distinguo delle tematiche da affrontare.

Quando si intraprende un cammino di civiltà come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è bene non nascondersi dietro gli spettri del POTREBBE ESSERE.
Il tema andrebbe affrontato proprio come in Irlanda: un paese è fatto di PERSONE, non è un’entità astratta. E quindi andrebbe chiesto al PAESE che cosa ne pensa.

Senza spot, campagne elettorali e fronti personali.

Sarebbe quindi anche legittimo che qualcuno possa avere delle perplessità sul delicato tema delle adozioni tra persone dello stesso sesso, appunto perché la tematica è molto delicata.
Ma se a volersi dire SI, davanti ad un’autorità, davanti a Dio o davanti a chiunque o qualsiasi cosa si voglia, sono due persone dello stesso sesso, in che modo questo può conferire il diritto a terzi di obiettare e di NEGARE loro questo diritto?

L’omofobia non è altro che una branca di questa negazione.
Ci sono terribili lacune umane e culturali celate dietro la fobia del “diverso”.

Perché in uno Stato che si possa definire Civile, un cittadino gode di diritti e doveri. E tra i diritti abbiamo la libertà di pensiero e di espressione.
L’amare qualcuno dovrebbe rappresentare una delle massime libertà di espressione, credo.
E se ancora esiste qualcuno che ha voglia di LEGITTIMARE questo amore (qui si parla di divorzi lampo, ma di unioni non parla nessuno), sarebbe immorale negarlo.
Incivile.

Se ti nego il diritto alla legittimazione dell’unione col tuo compagno, ti dovrei anche sollevare dal dovere di pagare le tasse, no?

Ci sono esponenti di certe classi politiche che hanno espresso il proprio dissenso millantando un costo per lo Stato nel legittimare queste unioni.

E mi sa che siamo davvero all’ammazza-caffè, altro che alla frutta.

Siamo il paese dei corrotti, delle scorciatoie, della cattiva giustizia, della non certezza della pena.
E fa tanto comodo scomodarsi per falsi problemi, distogliendo l’attenzione dagli sfasci. Perché signori, il massimo dell’integrità che vi compete giudicare, è quella dei crackers.

Critici, Criticoni o semplici scofanatori di pop corn…

25 lunedì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Critici.
Ma anche Criticoni.
Rosiconi.
Finti esperti.
Semplici spettatori e/o scofanatori di pop corn.

Anziché scomodare sei generazioni di Zingarelli-Treccani per elaborare critiche cinematografiche al sapore di supercazzola, non potreste limitarvi a:
– Mi è piaciuto

– Non mi è piaciuto

– Non ho capito una emerita ceppa ma mi è piaciuto perché quelli accanto a me in sala han detto che gli è piaciuto

– Non ho capito una emerita ceppa e quindi di conseguenza non mi è piaciuto

– Mi mantengo neutro e, se vinciamo qualche premio, li stronco perché io sono io e voi non siete un ceppo

– Mi mantengo neutro e, se vinciamo qualche premio, salgo sul carro del vincitore che non va mai a sbattere e le pizzette sono calde calde

– Mi mantengo neutro e, se non vinciamo nemmeno il trottolino d’oro, esco in prima pagina con un sano ed immortale VE L’AVEVO DETTO IO CHE ERA UNA SòLA!

– Mi mantengo neutro e, se non vinciamo nemmeno il trottolino d’oro, esco in prima pagina sbaragliando tutti con MA CHE NE CAPITE VOI CHE NON DISTINGUETE UN FAGIANO DA UN FAGIOLO!

Tanto, voglio dire, la bellezza dell’arte è la propria soggettività.
Non amo un Picasso perché è un Picasso e non amo Benigni in modo incondizionato.
Riconosco grandezze di autori e critici, ma riesco a mantenere un mio spirito critico personale.

E siccome oggi si butta tutto in caciara, buttate sei etti per una amatriciana e non se ne parli più.
E ora che anche la palma d’oro l’abbiamo assegnata, possiamo tornare a combattere l’olio di palma.

Buon appetito.

Maturità?

25 lunedì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Nella cittadina del ragazzo precipitato per quindici metri da una finestra dell’hotel in cui alloggiava con la sua classe, in gita scolastica per la visita all’Expo, il riserbo ha un retrogusto amaro, di omertà.
«D. è morto. È un fatto. Ma adesso lasciateci in pace…»: a parlare così i compagni di scola, di classe.
A ricordarci che questo ragazzo di diciannove anni non c’è più ci sono i quotidiani e i telegiornali.
Non ci sono fiori né parole.
E questo “eccessivo riserbo” ha tanto il sapore di omertà.
Alla fiaccolata in suo onore nessun compagno. Nessun insegnante.
Sembra quasi che D. sia stato una comparsa, e che sia scomparso in quel volo, da solo.
O forse no. Forse non da solo.
Ci sono le indagini che stabiliranno quando, se, come, dove e forse con chi o per mano di chi o con la complicità di chi è morto questo ragazzo.

Per adesso ci sono una madre ed un padre che hanno salutato il proprio figlio in partenza per la gita.
E se lo sono andati a prendere freddo.
Come freddo può essere il cuore di un genitore a cui hanno strappato un figlio.
A cui nessuno si permette di non dare una ragione, un perché.

«Mio figlio era sano e in buona salute. L’ho affidato alla scuola e me lo restituiscono in una bara di legno».
«Mio figlio è morto solo e nell’indifferenza generale.
Non ho più lacrime né parole che possano esprimere il vuoto e l’assurdità di tutto. Il dolore e il silenzio innaturale dietro alla morte di mio figlio». 

Agli investigatori il duro compito di cercare una verità ancora una volta coperta dal più impietoso dei veli: l’omertà.
E, qualora venissero accertate delle responsabilità, a quei professori, a quei genitori, a quegli studenti che ora reclamano Il Diritto ad affrontare con serenità la preparazione all’esame di maturità, dovremmo rispondere:

“Quale maturità, signori?”

L’omertà evidentemente non riesce ad essere penetrata dalle parole di una madre che invoca solo la VERITA’ per la MORTE di suo figlio, un ragazzo di appena DICIANNOVE ANNI.
E, come si fa con i bambini, la verità bisogna esigerla, quando la spontaneità di una richiesta trova davanti a sé il silenzio.

Se ci saranno quelle atroci conferme di responsabilità di terzi, ci sarà una ed una cosa soltanto che potrebbe rendere giustizia non a D., ma alla dignità umana.

D. non potrà più arrivare a quella maturità.
Perché qualcuno, forse anche solo per un tragico gioco, gliel’ha tolta.
Qualcuno ha spezzato le ali ad un ragazzo.

E se un ragazzo ha trovato la forza di chiudere dietro di sé la porta, dopo un atto così atroce, forse non merita quel diritto alla maturità, a conseguirne l’attestato.

I titoli di studio vanno conseguiti con lo studio ma anche con la buona condotta.
E (se sarà accertata qualche responsabilità) chi ha anche solo assistito ad una tragedia, rifugiandosi nel silenzio, forse quel diritto non ce l’ha.
Meglio tornare a casa.
A riflettere.
A ripercorrere passo dopo passo un altro anno, identico eppure così diverso da quello appena passato.
Magari, ripercorrendo i passi nella mente, qualche ricordo affiorerà. E con lui, anche quella strana sensazione chiamata maturità, libertà, coscienza.

Tacchi e tacchini

20 mercoledì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Pare che ad uno dei festival del Cinema più famosi al mondo che si sta svolgendo in questi giorni, siano state bandite scarpe basse e selfie degli ospiti con i loro fan.
Si, perché la richiesta di ABITO LUNGO implica appunto la presenza di un tacco, possibilmente alto e il selfie pare sia un po’ troppo volgare e, forse, troppo popolare per una manifestazione che vuole GLAMOUR ed ESCLUSIVO come dress code.
Così, ecco che uno dei festival più ambiti, si trasforma del “NO” FESTIVAL.
Gli organizzatori minimizzano ed in effetti non è che ci sia da strapparsi le extension e da togliersi il sonno. 🙂

Però fa sorridere come certi canoni di eleganza vadano espressamente richiesti.
Tralasciando tutto ciò che possa essere offensivo e volgare in senso assoluto (se esiste un senso assoluto!), sarebbe bello che ciascuno, in un’occasione unica ed irripetibile come un Festival Del Cinema si sentisse libero, e comodo, di esprimersi.

Gonna corta e ballerine.
Abito lungo e tacco alto.
Il tutto immortalato con ammiratori che non mangiano da sei giorni e hanno un trucco waterproof a prova di Circense per quello scatto in cui, come sempre, i protagonisti verranno tagliati o con smorfie ad occhi chiusi.

Ho sempre pensato che l’Eleganza, nel senso più pieno del termine, non sia una regola scritta, ma un modo di intendersi, di intendere la vita, la camminata, l’obiettivo di un fotografo, un saluto al pubblico.

E siamo d’accordo che un tacco 15 faccia la sua bella sana e Scomoda figura…ma lasciateci un po’ di sano trash comodo in queste occasioni 🙂

E poi, chi l’ha detto che Se bella vuoi apparire un po’ di male devi patire?
Io mi faccio un patè di olive al massimo, Con le Converse a fiori.
E vi posto il selfie 🙂

La casa degli orrori

15 venerdì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Casa-famiglia-Lager degli orrori.

C’è qualcosa che contrasta.
Perché la parola casa, come la parola famiglia, sono nate per evocare sicurezza e protezione da tutto e da tutti. Protezione dall’orrore.

Corri in casa e ti chiudi la porta dietro, come accade nei film, quando ti insegue il mostro, il pazzo, la pioggia, l’inferno.

Ti chiudi alle spalle quella porta quando vuoi piangere.
La sbatti quella porta, ne fai sentire il rumore, i vetri che tremano per l’urto, per far sentire la rabbia.

E lasci fuori tutto il male. FUORI da quella porta.

E quando la vita, la famiglia, la sventura, l’han sbattuta in faccia a te, figlio, quella porta, tu sei più “figlio” di nessuno.
Chi ti accoglie in quel porto sicuro, quella CASA-FAMIGLIA, dovrebbe darti il doppio dell’amore che meriti qualsiasi altro essere umano.
E le mani dovrebbero dare carezze, non botte.
Le medicine dovrebbero dare conforto, non anestetizzare dalla vita.

Quando ti sei chiuso l’orrore alle spalle, come l’orrore dell’abbandono, e quell’orrore è lì davanti a te ad apparecchiarti la tavola, sotto mentite spoglie, vuol dire che l’inferno esiste.
Non si può scappare dall’inferno finchè esisteranno l’uomo e il suo vile, sporco dio denaro.

Nel nome del padre e della madre.

12 martedì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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L’adozione e l’affido sono atti di amore puro.
Quasi più grandi del diventare genitori in modo “naturale”.
Si, perché si sceglie di amare. Con un iter lungo e consapevole.
Si è privati di un momento unico e prezioso della nascita di un figlio: la crescita nel grembo materno, quel contatto che resterà, COMUNQUE VADANO LE COSE tra madre e figlio, un rapporto esclusivo, inimitabile.

E spesso, come è naturale la nascita, è altrettanto naturale che un figlio consapevole di essere stato adottato, voglia conoscere il nome, il volto, il perché di chi gli ha dato il sangue che gli scorre nelle vene.
Perché è vero: i figli sono di chi li cresce, di chi li ama.
Ma è altrettanto vero che conoscere chi ci ha messo al mondo e, per i motivi più diversi, non ci ha tenuto con sé, deve essere un DIRITTO.
Deve essere diritto di una coppia poter partorire il proprio figlio e scegliere di non volerlo tenere con sé, con MODI E LUOGHI IDONEI che rispettino la sicurezza del neonato (non di certo abbandonando il piccolo al freddo, in condizioni in cui a volte nemmeno alla spazzatura è riservato tanto disprezzo).
Ma deve essere diritto di chi è stato “abbandonato” poter accedere alle informazioni che sono SUE: perché quel neo, quel modo di sbattere le palpebre, quell’attorcigliarsi i capelli, quel mordersi le labbra è frutto di qualcosa che hai dentro, di incondizionato, di ereditario, anche se inconsapevole.

E quindi bravo a chi si sta battendo per cercare di conciliare i diritti dei genitori naturali e quelli dei figli dati in adozione.
Prima della burocrazia, c’è la vita.

«Credo che sia una legge di civiltà – spiega Luisa Bossa – trovo legittimo che una persona abbia accesso alle informazioni circa le sue origini. Chiunque lo voglia deve poter sapere, al di là dell’adozione, chi è, da dove viene, e magari ringraziare la madre naturale che invece di abortire gli ha permesso di vivere».

Crescita? Semmai Ri-Crescita

05 martedì Mag 2015

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Se siete consumatori, anche distratti, anche sporadici, di telegiornali, avrete sicuramente notato che ogni giorno, dico OGNI SANTO GIORNO, c’è un nuovo risultato di un sondaggio su:
CONSUMI
CRESCITA
LAVORO
RIPRESA ECONOMICA.

Che tu ti aspetti insomma, una finestra temporale non dico annuale, ma almeno, che ne so, trimestrale.
E invece no: nemmeno cambiano le stagioni, nemmeno possiamo lamentarci che non ci sono più le mezze stagioni, nemmeno fa in tempo a scadere il cartone del latte che BANG, ecco il sondaggione del giorno.
Nemmeno Paolo Fox mi fa l’oroscopo così puntuale.

Io mi son sempre chiesta: ma il campione degli intervistati, da chi accidenti è composto? No perché qui tutti stiamo a piangere miseria, e poi mi dicono che i ristoranti sono pieni.
Qui siamo sfollati, e mi aumentano i prezzi delle case.

Potreste effettuare i sondaggi su PERSONE VERE, o almeno fornire nomi, cognomi ed indirizzi di coloro che intervistate, alla faccia della privacy, che tanto da quando esistono le vecchiette del paese (al sud) e facebook (al nord) è morta e sepolta?

No perché qui i sondaggi ci dicono che:
il lavoro riprende (lunedi)
il lavoro ha una battuta d’arresto (martedì)
anzi, il lavoro diminuisce (mercoledì)
ripartono i consumi (giovedì_mattina)
battuta d’arresto dei consumi che sono al minimo storico dal 2013 (giovedì_sera)
non facciamo sondaggi perché facciamo il weekend lungo (venerdì).

Vi prego, fermate i sondaggisti…anche se, dato il numero di sondaggi che sfornano, sembrano una delle poche categorie di lavoratori che non conosce crisi…anzi, ce magnano sulla crisi!!!!!

Ragazzi, qui l’unica crescita che avvertiamo è la RI-Crescita, dei capelli, perché non abbiamo più i soldi per farci la tinta e una sana spettegolata dal parrucchiere.

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