Oggi il caffè lo beviamo con Christian Iansante!
Mi premette che lui appartiene a quella categoria dei “cattivi ragazzi”, e direi che possiamo cominciare. 🙂
Quindi, fatte le dovute premesse, inizia una chiacchierata intensa, piena, coinvolgente. Una grande opportunità per me che mi arricchisco ogni giorno, che mi nutro di cultura, di cose belle, di belle persone.
Un bellissimo dannato, qui per voi.
Mi dice subito: Io, come ti ho premesso, appartengo alla categoria dei “cattivi”.
Spesso alcuni miei colleghi si raccontano, ai microfoni, in maniera diversa da come sono, esprimendo a voce un pensiero non in linea con quello che hanno in testa. Io posso sembrare “stronzo”, ma ciò che mi contraddistingue è l’essere sincero, non mi vesto di ipocrisia. Spesso, soprattutto in questo paese, edulcoriamo il linguaggio, ci censuriamo, ci “puliamo”, quando poi alle 8 di sera, trovi solo donne e calcio, il binomio che, in termini di ascolti e non solo, paga e vende di più. Siamo un paese fondato su donne e calcio. La passione e la dipendenza, a volte, per il calcio la confessiamo, la giustifichiamo; quella per le donne no, non si può. Ecco, io generalmente, dico quello che penso, a costo di sembrare “stronzo”. E’ qui che capisco quella che era la sua accezione di “stronzo”…beh, senza questa accezione, non saremmo qui a parlare.
Quindi, cominciamo.
Inizio da un settore un po’ “insolito” o almeno, non primario per chi lavora con la voce, ovvero lo spot pubblicitario. Io, tendenzialmente, non cambio canale all’incombere della pubblicità perché, SE FATTA BENE, esprime il massimo potenziale dell’azienda che ci ha lavorato che dovrà convincerti, in trenta secondi, che lei è meglio della sua diretta concorrente, che andrà in onda tra due minuti. Christian, parlami di questo mondo che vivi da vicino, del tuo ruolo in queste piccole produzioni.
Soprattutto negli spot pubblicitari, prodotti che durano 30 secondi, ci sono voci che bucano, che arrivano dritte, in quel lasso di tempo così breve. Altre, invece, che si perdono. Ci sono grandi doppiatori inadatti ad un lavoro come lo spot e doppiatori “mediocri” che sono perfetti in queste piccolissime produzioni. Il doppiaggio al leggìo delle pellicole e quello degli spot hanno tecniche diverse. Devi esserci portato. Per vincere, in uno spot, devi arrivare al pubblico con grande personalità, con voce anche ammiccante. Questo è un “prodotto di plastica”, è finzione, e quindi il lavoro su questo richiede tanta vocalità. Spesso ho accettato di prestare la mia voce a queste lavorazioni anche solo per poter mangiare, per il bisogno di lavorare. Uso la mia voce a 360°, non scarto niente: da i tralier per la Fox, a Radio 24, ai Documentari, al doppiaggio per produzioni cinematografiche, agli spot appunto. Bisogna spaziare, sempre. Per mangiare, per crescere e per non annoiarsi mai. Il doppiatore settoriale, secondo me, si pone grandi limiti. Poi, dobbiamo sicuramente parlare di chi gestisce, di chi troviamo dietro ad ogni spot pubblicitario. Spesso nemmeno li incontri, sono lontani, fisicamente e mentalmente. Ti posso dire questo, che quando mi viene chiesto di fare lo spot “versione cliente”, mi arrabbio.
Fare questo tipo di spot significa per me fare uno “spot democristiano”, per un cliente medio. E’ lo spot che non osa, per il cliente che, a sua volta, non vuole osare.
E’ quello che va bene “in tutte le stagioni”, che non ha energia, che non ha quell’ammiccamento di cui ti parlavo. E allora manca davvero la grinta, quel quid in più che ti fa arrivare, bucare lo schermo.
Nei tuoi corsi che fai con Roberto Pedicini, tuo collega e amico, per l’Accademia per aspiranti doppiatori, mi dici che cosa insegni ai ragazzi? Non voglio sapere la scaletta di una lezione, ovviamente…mi interessa quello che va al di là della tecnica, mi interessa capire come cambia il bagaglio di chi entra e poi esce da una vostra lezione.
Sono dodici anni che io e Roberto trasmettiamo ai ragazzi quello che volevamo sapere e che non abbiamo imparato. Frequentare questi corsi significa investire tempo, impegno, studio, anche una volta usciti. Si insegnano tecnica, dimestichezza con un copione, con una cuffia, con il sinc, con l’uso della voce. L’unica cosa che un corso non può insegnare, iniettare nelle vene, è il talento, la predisposizione. Quello ce lo devi avere tu dentro. Io, dopo 25 anni di mestiere, posso permettermi di valutare se tu abbia o meno questo talento, questa predisposizione. Non posso dirti dove arriverai, perché questo dipende da te. Ma in tre minuti posso capire tanto di te. Questi corsi sono spesso criticati da alcuni colleghi doppiatori. Sono criticati perché si contesta e si chiede a questi ragazzi una carriera artistica, magari teatrale, che a 17, 18, 19 anni, un ragazzo può anche non avere.
Chi non appartiene ad una grande città come Roma, spesso non ha alcuna possibilità, è destinato a “morire” nella sua piccola provincia, senza poter realizzare il suo sogno, pur avendone il talento e la capacità, magari. I nostri ragazzi sono giovani, vivono in piccole città, nella cosiddetta provincia, quella lontana geograficamente e culturalmente dalle possibilità.
Ecco, io e Roberto crediamo che a diciassette anni, un ragazzo che viene “dal nulla” possa iniziare tutto, pur non avendo alle spalle già una carriera teatrale o una parentela importante che lo introduca nei nostri ambienti. Si esalta molto questo teatro, che spesso invece sforna mediocrità e preparazioni inutili. Noi non vogliamo negare a nessuno la possibilità di realizzare il proprio sogno, perché anche chi “non è figlio nostro” deve avere la sua occasione. Mia figlia ha iniziato da piccola, ha una predisposizione, è brava. Ma se un giorno arriverà da un paesino sperduto una ragazza che la scalzerà perché più brava, più talentuosa, più preparata, io non la taccerò di essere la cattivona che ha soffiato il lavoro a te, che sei mia figlia. Piuttosto, prenderò mia figlia e la motiverò a raggiungere livelli ancora più alti, a migliorarsi. Lei ha le porte aperte, certo, è figlia di Christian Iansante. Ma questo essere figlia mia non può e non deve stare in piedi da solo.
Nella mia lunga carriera ho visto “figli di meccanici” scartati perché “figli di meccanici”. Quel figlio di un meccanico ha magari più cuore, più passione, più anima di un figlio di. Noi con questi corsi diamo una possibilità, che non si sarebbero mai potuti permettere, a tutti gli sconosciuti figli di meccanici.
Noi diamo possibilità alla “provincia”, a chi non ha i mezzi, i nomi, le spinte. Noi proviamo a far realizzare il loro sogno, se hanno talento, anima, cuore. Io e Roberto non abbiamo segreti, noi diamo tutto quello che sappiamo, non abbiamo paura di dare anche a chi, un giorno, ci farà concorrenza al leggìo…ci è già capitato, anzi. Noi siamo generosi, doniamo tanto. E quello che riceviamo come compenso non è nulla paragonato al tempo che, per fare questo, sottraiamo alla nostra famiglia. Ma crediamo in questo, e quindi ci doniamo con il cuore, perché fa bene ai ragazzi, ma fa tanto bene anche a noi. Negli occhi e nelle storie di ognuno di loro, riviviamo i problemi degli inizi, che magari, essendo passato tanto tempo, abbiamo dimenticato. Ma credimi, è uno scambio, quello tra noi e loro, quasi alla pari, in termini umani.
E allora definiscimela questa VOCE, che per me è lo specchio di chi la produce, della bocca e in generale dalla persona da cui “esce”.
La voce è uno strumento che può emozionare. È un violino, un pianoforte, una batteria. Perché anche una batteria, se suonata con il cuore, può emozionare. Da sola, la voce è solo suono. Ma con il pensiero, con ciò che c’è dietro, è qualcosa che ti emoziona. La voce deve far piangere, ridere, arrabbiare, sobbalzare colui che sta dall’altra parte, che ti sta ascoltando. E’ uno stato d’animo, in tutte le cose: dallo spot al trailer alla grande produzione.
La voce non è estetica; la voce non è solo “la bella voce”. Prendi ad esempio Oreste Lionello o Ferruccio Amendola. Avevano un’emotività che sfondava, nella loro “imperfezione”. Con Ferruccio trovavo grandi affinità con me, con il mio modo di essere e di lavorare con la voce: non rispettiamo troppo l’originale, non gli siamo molto “fedeli”, come vogliono le regole del doppiaggio, portiamo tanto di noi sui caratteri che andiamo ad interpretare.
Io spesso, in questo modo, “tradisco” il prodotto, che non vuol dire doppiarlo male. 🙂 Il doppiatore dovrebbe essere sempre irriconoscibile, due miei grandi amici, e grandissimi doppiatori, come Maggi e Quarta, sono mimetici. Li conosco da anni, eppure spesso non li riconosco.
Cordova e Lodolo, per le loro vocalità e il tratto molto personale di doppiare, li trovo molto simili a me: noi tendiamo a travalicare un po’ i personaggi che andiamo ad interpretare.
Il doppiatore è un imitatore, deve eseguire su un prodotto originale; non devi cambiare quella melodia, quella musicalità che c’è nel lavoro su cui vai a lavorare.
Io, spesso, vado un po’ fuori da questi schemi…ma sono un creativo e non ne posso fare a meno.
Il doppiatore non è il personaggio, ma arriva dopo due livelli, diciamo così.
Abbiamo il personaggio. Questo personaggio viene interpretato da un attore.
E quel personaggio interpretato da quell’attore viene poi doppiato.
Un collega, o più di uno, con cui hai grande affinità al leggìo.
Ce ne sono tanti.
Pedicini è mio fratello e, come tale, in un rapporto così stretto, si litiga, ci si confronta, si hanno opinioni diverse. Anche in Accademia si percepiscono queste differenze tra noi, ma è un arricchimento per i ragazzi avere punti diversa diversi. Poi ci sono Angelo Maggi, Alberto Bognanni, Franco Mannella, Chiara Colizzi e Laura Boccanera fra le donne. Andrea Mete, tra i ragazzi della nuova generazione, mi ricorda, con il suo carattere, mi ricorda il me di quindici anni fa.
E come Direttore di Doppiaggio, me lo fai qualche nome?
Vairano, Rossi, Macrì, Lanciotti, le sorelle Pasanisi.
Con Sandro Acerbo ho grande affinità al leggìo e alla direzione. Con alcuni direttori invece, non mi trovo molto bene.
Quelli che vogliono le intonazioni scontate, quelli troppo canonici, blasonati…sono molto in contrasto con il mio essere un po’ fuori dagli schemi classici.
Ora abbandoniamo un po’ il lavoratore e chiacchieriamo un po’ con la persona… 🙂 Che cosa ammiri nelle donne e che cosa negli uomini?
Ammiro l’intelligenza, senza distinguere tra uomo e donna. Intelligenza è scambio, anche nel disaccordo. La stupidità non la puoi combattere, purtroppo. E’ un muro di gomma.
Ti faccio un esempio su tutti, Giuliano Ferrara, un uomo con cui avrei tanto da discutere, tanto su cui dissentire: ma non potrò mai dirti che è uno stupido, anche se così diverso, ideologicamente, da me.
Non ho il mio ideale di donna, ma so che la testa è fondamentale. Per deformazione professionale, sicuramente, mi colpisce il modo di parlare. Trovo più sensuali certi accenti piuttosto che altri.
Su questo, io e Roberto nei nostri corsi facciamo tanta ironia, imitazioni…ma servono a rendere l’idea 🙂
Definiscimi la Bellezza.
La bellezza è purezza, è qualcosa di pulito. Ognuno la avverte in modo diverso, personale; ognuno ha il suo contatto con la bellezza. La bellezza non è una maschera, non è niente di finto.
E la gelosia, che cos’è? Io trovo che sia un sentimento molto femminile, per questo mi interessa il punto di vista di un uomo.
Gelosia è stupidità. E’ pretesa di possesso….quindi, non molto democratica!
Alla gelosia si lega il tradimento. Quello che ti posso dire è che per me, un tradimento mentale è più forte di un tradimento fisico, anche se a prima vista può sembrare il contrario.
La ricetta del Buon Vivere?
Le frequenze giuste, il contatto col cosmo così come ci ha creati. L’andare al di là: al di là del provincialismo in senso totale, andare al di là di questo mondo. Ci sono miliardi di stelle, ci sono galassie, universi…ci sono sicuramente esemplari di vita evoluta diversi da noi. Bisogna pensare che dopo, senza necessariamente pensare ad un Dio, c’è qualcosa oltre. Noi dobbiamo concentrare le nostre frequenze, la nostra energia per arrivare in questo “al di là” senza essere stremati, senza sofferenza. Più viviamo bene, più la nostra energia sarà felice di ripartire.
Che papà sei, Christian?
Un papà che si rimprovera molto di non essere molto presente e di ricalcare i clichè del suo, di padre 🙂
Lui, che si è ammorbidito con l’età, era un po’ una testa calda, si arrabbiava, gridava molto. Anche se questo, da figlio, non mi piaceva viverlo, mi rimprovero di portarmelo ancora troppo addosso, di avere ancora un po’ gli strascichi di quei momenti e questo, nel mio ruolo di padre, me ne fa dispiacere.
Mia madre, nelle scene di rabbia in cui sono coinvolto, mi dice che le sembra di sentire mio padre, a casa, tanti anni fa…mi dice che porto le sue follie e le sue arrabbiature sullo schermo, attraverso la mia voce! Ma come attore, questo mio portarmi dentro, questo mio portare dentro la mia rabbia, e quindi me stesso, tante volte ha fatto la differenza. La rabbia e la gioia che porto non sono cercate fuori, le vado a ripescare dentro di me. I miei caratteri rabbiosi, i miei pazzi, li porto sullo schermo in un modo molto personale, non dallo studio, dal leggio, ma dalla vita reale.
Sei esattamente dove vorresti essere?
Penso proprio di si.
Anzi, spesso penso di essere al di là di dove mi ero immaginato.
Ti piace il Caffè? In una Coffee Room, la domanda è d’obbligo.
Si. E quando è buono, mi piace a tal punto che lo prendo amaro. Lo zucchero mi serve a correggere quelli che nun se possono proprio vedè 🙂
Nell’ultima domanda, c’è il ringraziamento per averlo fatto: perché hai accettato questa intervista, da una che non lo fa di professione, ma solo per passione?
Il tuo era un messaggio simpatico. Ricevo tantissimi messaggi ogni settimana, con le richieste più disparate.
Dico di no solo all’arroganza e alla maleducazione.
What else?