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Coffee Room

~ La vita è come il caffè: puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, ma se lo vuoi far diventare dolce, devi girare il cucchiaino. A stare fermi non succede niente.

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Archivi Mensili: novembre 2014

Cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese.

28 venerdì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Società & Attualità

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Tra L’Amore ai tempi del Colera e l’Amore ai tempi dei Social ci sono “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese“.

Eh si, perché se l’amore di Florentino Ariza per Fermina Daza si corona dopo una vita, oggi, in una vita social, trascorsa sui social, fondata sui social, di amori ne nascono e ne muoiono con la frequenza con cui Lady Gaga cambia outfit.

Non siamo ancorati all’idea che il mondo non deve cambiare.
Di sicuro non parleremo di come una volta non ci fossero nemmeno i telefoni, ma solo penna e calamaio.

I social e tutti gli strumenti di connessione tra le persone, come sempre ABUSATI, ci hanno dapprima permesso di superare quella barriera fisica che c’è tra noi e la Polinesia. E fin qui, un accorato GRAZIE.

Col tempo però, il social si è sostituito in toto a noi, alla nostra intraprendenza, al nostro coraggio, al nostro movimento.
Il nostro stato deve essere dichiarato, taggato, condiviso.
Ad abuso e consumo degli altri, a meno che non ci occorra come promemoria…e anche lì, fatevi delle domande e, possibilmente, trovate uno straccio di risposta 🙂

I social, a livello sentimentale, hanno acceso il nostro cervello, alimentato e nutrito fino a far scoppiare le nostre ansie, hanno scatenato le nostre gelosie, anche quelle che non sapevamo di avere.
Ci hanno reso preda di ex o di potenziali spasimanti.

Ma il conto che ci han presentato è stato lo spegnimento della nostra fantasia, il nostro immaginarci quello che non si può e non si dovrebbe sapere: cosa starà facendo l’altro, aspettare le sette di sera per fargli vedere, IN ESCLUSIVA, quel panino a sette strati che abbiamo fotografato a pranzo, uguale a quello della nostra prima cena insieme in autogrill, oppure le bomboniere che abbiamo scelto, prima che lo sappia il panettiere di Bari con cui siamo amici perché nel ’77 i nostri genitori han comprato due etti di pizza bianca nel negozio gestito dai suoi nonni.

Il social ci dovrebbe darci quella spinta in più, quello spunto in salita, quel rimbalzo dopo esserci tuffati per tornare su, con la testa fuori dall’acqua a guardare cosa ci circonda.

Il social non dovrebbe guidarci, ma essere il nostro guinzaglio, ben stretto nelle nostre mani.

E non dico di aspettarlo una vita, quell’amore.
Ma almeno quei dieci secondi in più di un Like alle tette dell’amica del fratello del cugino.

Grazie a colei che ha ispirato questo articolo. 🙂

Vocabolariò

27 giovedì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Società & Attualità

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Amicaaaaa!
Dice Che ccce fai con sti segni grafici?

Amica.
Amica commentatrice incallita.
Amica donatrice di faccine e bacetti.
Amica donatrice di faccine e bacetti con stacco di coscia in bellavista…è a te che mi rivolgo.

A te che pensi che l’accademia della Crusca sia una variante lassativa di cereali;
A te che pensi che metrosexual sia uno strumento di misurazione fisico;
A te che pensi che il barometro sia un traghetto per l’Aldilà;
A te che pensi che il neologismo sia una macchia cutanea;
A te che vivi in ascensore solo per farti il selfie della vita;
A te che sei vegana dal lunedi al venerdì;
A te che sei vegana e te magni pure le patatine con sette strati di panna;
A te che posti foto in posizioni Orfeiane ma con gattini in braccio che fanno tanto Candy Candy;
A te che menti sapendo di albicocca;
A te che non hai capito che la precedente è un gioco di parole;
A te che senza il T9 sei come me senza il TomTom;
A te che sei appena andata a cercare il significato di TomTom.

Amica:
la punteggiatura, il congiuntivo, l’h che trasforma preposizioni-sostantivi in verbi, la consecutio temporum, l’apostrofo e le virgolette non sono pericolosi né creano dipendenza.
Puoi usarli tranquillamente, magari non proprio ad minchiam, e resterai sempre e comunque una gran gnocca.
Amen.

ARGO

25 martedì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in On Air

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Argo è un film del 2012 diretto ed interpretato da Ben Affleck.

La pellicola narra fatti realmente accaduti a Teheran dopo la rivoluzione iraniana del 1979. Il film è incentrato sull’operazione segreta congiunta tra Stati Uniti e Canada per liberare, nell’ambito della crisi degli ostaggi, sei cittadini americani rifugiatisi nell’ambasciata canadese della capitale iraniana.

Il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui tre Premi Oscar.

Il doppiaggio italiano è stato strepitoso, partendo dal “solito” Riccardo Rossi su un Ben Affleck stratosferico.

E’ una pellicola cruda, non nelle immagini, ma nelle sensazioni, nella drammatica consapevolezza della veridicità dei fatti, apparentemente così lontani, eppure così vicini.
C’è la paura di morire, ci sono i giorni di prigionia che scorrono lenti, tutti uguali.
Ci sono le sensazioni claustrofobiche, del corpo e della mente.
Ci sono i soliti ostacoli “burocratici”.
C’è il solito popolo vittima di se stesso.

Argo è un film nel film.
C’è un cast reclutato per costruire ad hoc un altro cast.
Riuscire ad entrare per riuscire a fuggire, la trama, la missione.
L’invasione nell’invasione.

Il protagonista è il regista.
Nella trama come nella realizzazione.

Un film con poche smancerie, con poche parole, se non quelle accavallate una sull’altra dei sei ostaggi, sfiniti più mentalmente che fisicamente.

Siamo a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.
Non ci sono cellulari o e mail, ma cartoline.
Sigarette in ogni luogo, barbe lunghe e colletti alti.

Lo straordinario talento del protagonista è stato forse quello di mettere il suo talento al servizio di una causa giusta: lo ha fatto Mendez, che non riceverà alcuna gloria pubblica, e lo ha fatto Affleck che, seppur con tre oscar nella giacca, ha continuato sulla strada della professionalità, per un cinema un po’ meno Holliwoodiano di altri. Finalmente.

Questa è la prova che la bellezza, anche quella maschile, ha una radice più profonda.
E si chiama Talento, Ingegno, Arguzia.

Col cuore in Moto. Roberto Nobile

24 lunedì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in About YOU - Le mie interviste

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Oggi il caffè lo beviamo con Roberto Nobile!

Attore.
Di Cinema, Tv e Teatro, misuratosi in produzioni italiane e internazionali.
Ma anche scrittore.
E anche sfegatato motociclista.
E da queste due ultime passioni, moto e parole, è nato Col Cuore in Moto.

Leggo che la sua passione per il motociclismo ha un’accezione avventurosa e casereccia.
Ora invece, questo è ormai uno sport attorno al quale orbitano fiumi di denaro.
E’ il denaro che ha contaminato la genuinità, il selvaggio, lo spirito libero della moto che ora invece deve sottostare a meccanismi di spettacolo, a contratti, esclusive…? O è cambiata la gente? Secondo me la moto non è più il prolungamento del tuo corpo con cui andare a rincorrere i propri sogni: io la vedo come uno strumento per fare soldi, forse per comprarli, quei sogni.
E’ d’accordo?
NEGLI ANNI 60 IL GRANDE  REMO VENTURI FU DUE VOLTE SECONDO NEL CAMPIONATO MONDIALE 500 CON LA MV AGUSTA.
IL SUO STIPENDIO ERA TRE VOLTE QUELLO DI UN OPERAIO DELLA CASA MOTOCICLISTICA CHE LO INGAGGIAVA; QUELLA ERA LA REGOLA. COME SE IL NS VALENTINO GUADAGNASSE 4500 EURO AL MESE INVECE DI MILIONI… ERA UN ALTRO MONDO, ALTRI UOMINI.
VENTURI, PRIMA CHE IN MOTO, GAREGGIO’ IN BICI E SI RECAVA AL LUOGO DI PARTENZA DELLA CORSA CON LO STESSO MEZZO CON CUI AVREBBE GAREGGIATO. PARTIVA DI NOTTE DA SPOLETO, ALL’ALBA ARRIVAVA A ROMA, CAFFE’, PANINO, CORSA E RIPARTENZA PER L’ OFFICINA IN CUI LAVORAVA.
NON ERA UN SUPERUOMO, PERCHE’ LO FACEVANO IN TANTI. L’ITALIA DEL DOPOGUERRA ERA ANCORA UN PAESE DI CONTADINI ED OPERAI, GENTE CHE CONOSCEVA BENE LA FATICA, LA TENACIA ED IL CORAGGIO E, PERCIO’ SAPEVA DARE VALORE ALLA PASSIONE SPORTIVA, ALL’AVVENTURA, ALLA BELLEZZA, COME REGALI (E SOTTOLINEO REGALI) PREZIOSI DELLA VITA.
ECCO, E’ DIFFICILE COMPARARE QUELLA UMANITA’ QUELLA GENERAZIONE ALLA NOSTRA.
SENZA FARE TANTA SOCIOLOGIA, NOI SIAMO VIZIATI E FRAGILI, SOPRATTUTTO, E QUI RITORNO AL TEMA DEL DENARO, ABBIAMO PERSO LA CAPACITA’ LA PASSIONE E L’ARTE DEL GRATUITO. OGGI OGNI COSA HA UN PREZZO, ANCHE IL NOSTRO CUORE.

Dice che chi si cimenta nel mestiere di attore ed in quello di scrittore, lo fa perché lì si trova non la vita vera, ma una copia perfetta, controllabile, prevedibile; perché accettare il mondo così com’è è difficile. Cosa cambierebbe di questo mondo? E che cosa non cambierebbe mai, di questo mondo?
CHE IO PREFERISCA AGGIRARMI IN UNA VITA FINTA, PIUTTOSTO CHE QUELLA VERA, E’ UNA COSA DIFFICILE DA SPIEGARE, CHE PRENDEREBBE MOLTO TEMPO, E COMUNQUE E’ UN  FATTO COMUNE A TANTI ARTISTI.
RIGUARDO AI CAMBIAMENTI, PENSO CHE IL MONDO VADA MALE, COME UNA MACCHINA SCASSATA E FUSA, CHE PERO’ IN QUALCHE MODO CAMMINA E, SE CERCHI DI AGGIUSTARLA CON QUALCHE PEZZO DI RICAMBIO NUOVO, CUI NON E’ ABITUATA, MAGARI, PROPRIO ALLORA, TI LASCIA PER STRADA.
SE SI E’ CAPITA LA METAFORA, A ME, EX SESSANTOTTINO, NON PIACCIONO LE RIVOLUZIONI, LE MINORANZE CHE FANNO LA STORIA, PERCHE’ IN GENERE LA FANNO MALE.
CERTO, PRIMA O POI  BISOGNERA’ PENSARE, CHE IL MERCATO, IL DENARO ED IL CONSUMISMO NON SONO L’UNICA E L’ULTIMA VERITA’. SE TUTTA LA STORIA UMANA DOVEVA PORTARE A QUESTO, CHE FATICA SPRECATA!  UNA COSA VORREI CHE RIMANESSE IN QUESTO MONDO: LA BELLEZZA, SOLA CURA ALLA NOSTRA PAZZIA.

Lei che il cinema e la tv li fa da protagonista…da spettatore, che cosa guarda?
MI PIACCIONO I FILM IN BIANCO E NERO, MI DANNO GIOIA E PACE, DI QUALSIASI GENERE, DA TOTO’ AI POLIZIESCHI AI TELEFONI BIANCHI, AI WESTERN.
PRIMA, CHIEDENDOMI PERCHE’, PENSAVO FOSSE LEGATO ALLA MIA GIOVENTU’, CHE UN PO’ PER TUTTI E’ L’ISOLA FELICE, L’ETA’ DELL’ORO ECC.
ADESSO MI SONO DATO UNA SPIEGAZIONE PIU’ COMPLESSA: GLI SCENEGGIATORI CHE SCRIVEVANO QUEI FILM, GLI ATTORI CHE LI RECITAVANO, I REGISTI CHE LI DIRIGEVANO, STAVANO IN UN MONDO PIU’ SEMPLICE E STRUTTURATO DEL NOSTRO, CON UNA FEDE INGENUA E POTENTE NEL FUTURO.
IL LORO RACCONTO, COMICO, O TRAGICO CHE FOSSE, POGGIAVA SU UN PAVIMENTO SOLIDO E RASSICURANTE.
NOI VIVIAMO INQUIETI NELLA NEBBIA.

Una persona che, lavorativamente, porta nel cuore.
L’ATTORE CON CUI HO COMINCIATO.
SI CHIAMA ENRICO BONAVERA, GRANDE MAESTRO DI COMMEDIA DELL’ARTE.

Il suo pregio più grande, quello che vede ogni mattina davanti allo specchio.
SONO UNO CHE NON SI ARRENDE, MA NON SO SE E’ VERAMENTE UN PREGIO…PENSO AL SOLDATO GIAPPONESE CHE E’ RIMASTO NELLA JUNGLA DELLE FILIPPINE E NON SAPEVA CHE LA GUERRA ERA FINITA DA 20 ANNI.

Il suo rapporto con la Politica, sempre più passiva, politicamente, ma sempre più attiva, televisivamente.
MI STANCA, NON MI PROCURA NESSUNO STIMOLO INTELLETTUALE, ANCHE LE PERSONE PIU’ INTELLIGENTI MI SEMBRANO BANALI, O CHE PARLINO NEL VUOTO, INESSENZIALI. FORSE E’ COLPA DELLA MIA ETA’.

Una cosa di sé che non accetta, ma non riesce o non può cancellare.
SE UNO NON SI ACCETTA ALLA MIA ETA’…

Perché oggi il mestiere di attore e quello di scrittore sono così “alla portata di tutti”? Si è abbassato un po’ il livello, la preparazione. Perché? Una persona come lei che ha lavorato con registi eccellenti, in produzioni italiani ed internazionali, come si comporta, se le è capitato, quando si trova a dover lavorare con “artisti improvvisati”?
LA SCUOLA DI MASSA, IN TEMPI DI CONGIUNTURA ECONOMICA FAVOREVOLE (DA POCO FINITI), HA DATO ACCESSO A PROFESSIONI “ALTE” ED ANCHE ARTISTICHE AD UN SACCO DI GENTE.
SI AGGIUNGA CHE LA NOSTRA E’ UNA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO, CON UNA POPOLAZIONE CHE SPRECA 4 ORE AL GIORNO DELLA SUA VITA DAVANTI ALLA TV, PER CAPIRE QUANTA ENORME MASSA DI ASPIRANTI PREMA ALLE PORTE DELLE PROFESSIONI, PIU’ O MENO FRIVOLE, PIU’ PER MODA CHE PER VERA PASSIONE (CON GLI ENORMI SACRIFICI CHE ESSA COMPORTA).
SE MAI E’ ESISTITA UN’ETICA PROFESSIONALE, ESSA LANGUE E SI ANNACQUA FINO A SPARIRE IN UN CONTESTO DEL GENERE; COSI’ CI SONO ATTORI CONSAPEVOLI DI NON SAPERLO FARE, MA INDIFFERENTI ALLA CONSEGUENTE QUESTIONE MORALE. QUANDO LI INCONTRO, SONO RASSEGNATO.

Che cosa ammira nelle donne e che cosa negli uomini?
ULTIMAMENTE HO SCOPERTO CHE SONO UGUALI, CHE NON C’E’ DIFFERENZA, SE NON ANATOMICA, FRA UOMINI E DONNE.
E’ UNA SCOPERTA CONQUISTATA IN UN LUNGO E DIFFICILE CAMMINO, NON MI CI FACCIA RINUNZIARE!

Qual è la ricetta del Buon Vivere?
NON LA SO, MA GENTE PIU’ SAGGIA DI ME HA DETTO: “STATE ALLEGRI, SE POTETE“.

Il complimento più bello che le hanno fatto.
NESSUNO OSI FARMI COMPLIMENTI!

Lei è esattamente dove vorrebbe essere?
NO, A ROMA NON C’E’ IL MARE.

Le piace il caffè? Il mio blog è la mia Coffee Room, la mia stanza del caffè, in omaggio alla mia passione…quindi la domanda è d’obbligo.
UNO CHE NON GLI PIACE IL CAFFE’ BISOGNEREBBE SEGNALARLO AI SERVIZI SOCIALI.

Perché ha accettato questa intervista? La domanda racchiude in sé il ringraziamento per averlo fatto, nonostante io non sia una giornalista, una che le interviste le fa di “mestiere”.
MI SEMBRA CHE LEI SIA MENO SUPERFICIALE DELLA NORMA.

Non oserò fargli i complimenti personalmente, quindi glieli farò indirettamente, limitandomi a farvi apprezzare questo ritratto.

Adesivi…a buccia d’arancia.

24 lunedì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Società & Attualità

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La bambola più famosa al mondo torna.
Non a Malibu. Non con lo shatush.
Con la cellulite.
Perché? Per far accettare ai bambini (alle bambine) il proprio corpo.

Io sono stata una bambina. Magari lo sono ancora.
Ho giocato con quantitativi di bambole inimmaginabili.
Non sono una modella, né nella vita, né di professione.
Le mie misure sono più quelle delle Polly Pocket con della B. in questione.
Non sono bionda.
Ho le occhiaie se non dormo.
Ho dei solchi che credo si chiamino rughe anche se non ho nemmeno trent’anni.
Subisco anche io la legge di gravità.
Uso senza vergogna il push up.
Uso senza vergogna, all’occorrenza, i tacchi.
Non ho il triplo cognome.
Non ho nulla di fisico che mi abbia spalancato portoni, se non la forza delle mie braccia e, forse, della mia testa.

Essere belli, non è una colpa.
Non è una colpa che la pubblicità del mio push up la faccia una strapagnona.
Il bello, quello oggettivo, è bello da vedere.
Non è una colpa che un’attrice, una presentatrice, una giornalista sia ANCHE bella.

La bambola in questione a cui appiccichiamo un adesivo che simula la cellulite è una BABOLA in plastica, inanimata.

Se avete così paura che i vostri figli si ispirino a dei modelli sbagliati, provate a non darli voi quei modelli sbagliati.
Provate ad insegnare loro che c’è la bionda e la mora.
Quella alta e quella meno.
Quella più slanciata e quella più tarchiata.
Quella più abbiente e quella che fa fatica anche solo ad immaginarsela la quarta settimana.
Quella che fa i massaggi e quindi maschera meglio, e quella che i massaggi non sa manco quante s abbiano.
Quella che la buccia d’arancia la mette sull’anatra e quella che ce l’ha sulle cosce.
Quella che ha i capelli finti perché non aveva tempo per farseli crescere e quella che li ha perché una cura devastante glieli ha fatti cadere.

E provate a spiegare loro, nel caso stiate ancora pensando che i vostri figli abbiano sei etti di coppa sugli occhi, che al mondo ci sono così tante combinazioni di persone che è impossibile elencarle tutte.
E che, se non sei un assassino, un ladro, un truffatore, qualsiasi combinazione va bene.

Fortunatamente, la nostra B. è di plastica, non è un essere umano.
Preoccupiamoci forse un po’ di più di non essere noi a metterci sul mercato ad un prezzo magari competitivo, piene di plastica, con più silicone dello spot del Saratoga.

Smettiamola di credere che i nostri figli siano stupidi.
L’educazione, per fortuna, inizia dalla testa, non dai bigodi.

Metti un alieno a cena.

21 venerdì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Esiste un buffo paese in cui se la tua vita è in bilico tra cinquanta sfumature di grigio e il nero di un nulla cosmico, puoi permetterti di girare indisturbato vestito del tuo essere insulto, libero, a testa alta, avvalendoti della facoltà di non rispondere, di non porti domande.
Puoi permetterti di non avere opinioni, di non prendere posizioni, di non fare obiezioni. Nessuno intralcerà il tuo cammino immerso nel niente.

Ed in quello stesso buffo paese, se nella tua vita ti sei imbattuto in macchie di colore, sporcandoti con chiazze di musica e libri per la testa, devi guardarti le spalle, il collo, la faccia, le punte dei piedi.
Devi camminare ad occhi bassi, moderare i sorrisi, pesare non solo la pasta, ma anche le parole; non solo il sale devi usare con moderazione, ma anche il tuo sottile senso dell’umorismo, arma letale per chi non ne ha dimestichezza.

E’ un buffo paese in cui sei responsabile di quel che gli altri capiscono, non di quel che hai detto.

E’ un paese in cui se non ti sposi sei acida come un Muller scaduto nell’86.
Ma se ti sposi sei una sforna figli un po’ come il dolce forno.

Se sei bella, c’hai il problema che sei stupida.
Se sei un qualcosa che assomigli ad una forma, anche infinitesimale, di intelligenza, sarai sicuramente un divano da salotto.

Che buffi questi alieni.

Il Potere è SEXY

21 venerdì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Società & Attualità

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Vi propongo alcuni passi di un articolo che ho avuto il piacere di leggere mentre sorseggiavo il mio caffè. Il titolo accattivante mi ha, come da copione, catturata! 🙂
Non è un articolo celebrativo ma nemmeno denigratorio.
Tempo fa avevo io stessa confezionato dieci righe sulle donne al potere, su quelle donne che, forse esasperate dal continuo dover dimostrare qualcosa a qualcuno, una volta giunte al posto di comando si lasciano andare allo sfogo, più che alla guida.

Beh, questo articolo è forse un incoraggiamento alle donne.
E come punto di partenza ha donne eccellenti nel panorama mondiale.
L’invito è a dare il meglio, ma non a pretendere l’eccellenza, a tutti i costi, in tutto.

Ecco tutti i segreti delle donne al potere.
Uno su tutti? Non essere troppo perfezioniste. 

Spiegando la ricetta che l’ha spinta a riacquistare tutte le 23 licenze di cui Burberry negli anni si era sbarazzata, l’allora ceo del marchio british Angela Ahrendts sentenziò: «Chi non può controllare tutto, alla fine non controlla niente».
Il tempo le ha dato ragione. Con quel “chi”, però, la Ahrendts non si riferiva a se stessa, ma all’azienda nel suo insieme. E questo non è un particolare indifferente. Nonostante la sua carriera eccezionale, i tre figli teenager e un matrimonio felice, lei è una delle più grandi sostenitrici della teoria secondo la quale una donna, semplicemente, non può fare tutto. Insomma, Angela non è una perfezionista patologica (PP), anzi va fiera della sua fallibilità: sa dire di no, sa delegare e fare team: in un sondaggio il 90% dei dipendenti di Burberry le ha dato un punteggio positivo, mentre la media dei ceo è 69%.

Il suo caso eccezionale, però, rischia di confermare quel fenomeno che nei paesi anglosassoni chiamano sindrome da Little Miss Perfect.

Tanto per capirne la gravità, la direttrice della Oxford High School for Girls ha appena lanciato una crociata anti perfezionismo per salvaguardare le sue alunne. «Non eccellere in tutto va bene», sostiene fermamente Judith Carlisle. «Le nostre ragazze devono impegnarsi al massimo, ma devono essere consapevoli che la vita fuori di qui non sarà perfetta. Anche le carriere più brillanti sono costruite attraverso fallimenti».

Uno studio pubblicato sul Journal of Occupational and Organizational Psychology condotto su 288 adulti di entrambi i sessi ha rilevato come quasi il 40% delle donne (contro il 24% degli uomini) non si senta all’altezza degli standard che si è imposta di raggiungere sul lavoro.

Che la ricerca spasmodica della perfezione sia una caratteristica prettamente femminile lo sa bene anche Hillary Clinton. Lo scorso aprile, rivolgendosi a un pubblico di giovani a un evento della Clinton Foundation, l’ex segretario di stato ha parlato chiaramente. «Troppe giovani si lasciano bloccare dal gene della perfezione. Pensano di dover essere perfette sempre, invece che brave abbastanza». Un esempio? «Nella mia carriera ho assunto molte persone, ma quando ho offerto una promozione a una donna, questa mi ha sempre chiesto se pensassi davvero che fosse pronta, mentre la reazione degli uomini era più o meno questa: quando comincio?».

Cosa si nasconda dietro a questo bisogno di essere perfette sempre ha cercato di indagarlo la psicologa di Boston Alice Domar, autrice del libro Be Happy Without Being Perfect. «Io non parlo di donne malate di un vero e proprio disturbo ossessivo compulsivo, ma di tutte quelle apparentemente normali che lavorano senza sosta convinte che non sia mai abbastanza, che rimuginano all’infinito sui compiti già svolti, che si sentono a disagio a lasciare i piatti sporchi nel lavello, o a non preparare l’impeccabile outfit per il giorno seguente».

Da uno studio condotto con la canadese Brock University è emerso che questa categoria di persone ha una costituzione fisica debole, si ammala di più. Ma essere una PP non dovrebbe aiutare la carriera?
A guardare quella di Rachel Sterne Haot, responsabile a 31 anni della tecnologia dello Stato di New York, verrebbe da dire di sì. È fine agosto 2011 quando l’uragano Irene si abbatte su Manhattan.
Mentre la gente scappa a fare riserve d’acqua, Rachel, al tempo ventottenne responsabile dell’ufficio digitale del sindaco Bloomberg, si sistema incurante del pericolo nella City Hall per coordinare tramite i social network gli avvisi di allerta, aggiornare le mappe delle zone da evacuare e rispondere in tempo reale alle domande dei cittadini terrorizzati.
In quel caso il perfezionismo è stato di grande aiuto, ed è inutile negare che tutti vorremmo affidarci a un chirurgo capace di assicurarci uno standard simile.

«Ci sono alcune situazioni in cui dobbiamo dare il meglio», chiarisce Domar. «Ma questo non significa che dobbiamo essere perfette in tutto».
Chi vuole controllare tutto, prima o poi perde sicurezza in se stessa, fatica a collaborare con i colleghi perché li ritiene inadeguati e corrode la propria creatività, che per natura è incontrollabile.
Di questo è profondamente convinta anche Sheryl Sandberg, oggi numero due di Facebook e autrice del libro di successo Lean In: Women, Work And The Will To Lead che sostiene una tesi chiara: done is better than perfect. «Lasciamo l’ansia da standard impossibili. Siamo sempre costrette a scegliere tra famiglia e lavoro, esercizio fisico o relax… Scegliamo cosa è meglio per noi e concentriamoci su quello. Invece di aspirare alla perfezione, dovremmo desiderare vite appaganti».

Ai nostri figli

20 giovedì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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Ai nostri figli dovremmo insegnare tante cose…con gli sguardi, con le parole, con i silenzi, con i fatti, con gli abbracci ,con i profumi, con le lacrime, con i sorrisi, con le vittorie, con le sconfitte, con i libri, con le canzoni, con le corse la domenica mattina, con i giochi.

Dovremmo farlo a bassa voce, riservando gli alti volumi alla musica e alle risate.
Dovremmo insegnar loro il rispetto, che parte da se stessi e sconfina in quello per gli altri.

Dovremmo insegnar loro che cosa sia quella strana cosa chiamata amore.
Dovremmo insegnar loro che, per poter amare gli altri, devi prima amare te stesso.

Dovremmo insegnar loro il valore dei nonni, dei saggi, degli antichi, della cultura, quella scolastica e quella quotidiana, tramandata di generazione in generazione.

Dovremmo insegnar loro ad imparare a dare per imparare poi a ricevere.

Dovremmo insegnar loro che non esistono le scale o gli strati sociali: le scale servono ad arrivare più in su, gli strati sono la panna ed il cioccolato del dolce di compleanno.

Dovremmo insegnar loro che la famiglia e la casa sono dei luoghi dell’anima, dove c’è amore, dialogo, rispetto e sorriso.
A volte c’è anche una lacrima, uno sconforto, forse una piccola rabbia: ma tutto deve sfociare in un sorriso prima di andare a letto.

Dovremmo insegnar loro che diverso presuppone qualcosa di uguale, e nella vita nessuna cosa, o persona, è mai uguale all’altra.

Dovremmo instillare la curiosità e il senso del dubbio.
Dovremmo insegnare loro a non dubitare mai dei propri affetti, ma a dubitare talvolta di se stessi, per mettersi sempre in gioco, in quel gioco meraviglioso che è la vita.

Dovremmo insegnar loro che si può credere o no.
Dovremmo insegnar loro che tutto, o quasi, ha un punto di vista e di osservazione, e questo cambia di minuto in minuto, di centimetro in centimetro.

Dovremmo insegnar loro che giocare è una cosa seria e che non bisogna prendersi mai troppo sul serio.

Dovremmo insegnar loro che, a volte, per imparare bisogna sbagliare.
Dovremmo insegnar loro che la paura esiste, come esistono gli ostacoli: ed esistono per essere affrontati, non aggirati.

Dovremmo insegnar loro che la vita è un dono meraviglioso e che è un’esperienza, forse, irripetibile.

Etimologie…Simpatiche

19 mercoledì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Società & Attualità

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La simpatia è parola composta che letteralmente evoca il “patire insieme”, “provare emozioni con…”.
L’essenza della simpatia infatti consiste nel provare emozioni simili a quelle che prova un’altra persona, emozioni come gioia, sofferenza, libido.

Si crea quindi uno stato di “sentimento condiviso”. Nel significato etimologico, il termine simpatia è usato per la condivisione di sofferenza o infelicità.
In un senso ampio il termine può anche riferirsi alla condivisione di ideologie.

Se ci attenessimo al significato originario della parola, forse non ne abuseremmo.
Oggi tendiamo ad identificare non simpatica una persona che non conosciamo o che ha un senso dell’umorismo che magari non cogliamo.

Lo stato psicologico della simpatia ha tratti in comune con quello dell’empatia.

L’Empatia è l’abilità di percepire e sentire direttamente ed in modo esperienziale le emozioni di un’altra persona così come lei le sente, indipendentemente dal condividere la sua visione delle cose.
La simpatia, in questa sfera, è l’abilità di percepire la situazione in maniera simile alla persona coinvolta, implicando preoccupazione e desiderio di alleviare i sentimenti negativi dell’altro.

Possiamo provare Empatia, ma non simpatia nel momento in cui sentiamo internamente ed in modo esperienziale i sentimenti dell’altra persona, ma non intendiamo alleviare le sue sofferenze.
Possiamo provare Simpatia, ma non empatia nel momento in cui siamo consapevoli che qualcuno sta male e sentiamo la voglia di aiutarlo, ma non proviamo in modo diretto ed interiore il suo sentimento di dolore.
Possiamo invece provare entrambe quando percepiamo i sentimenti dell’altra persona con la voglia di aiutarla.

Subentra SIMPATIA o ANTIPATIA nel momento in cui si CONDIVIDE un percorso, un cammino, un’idea, un’esperienza.
Quando non si condivide nemmeno lo stesso lavandino di un bagno pubblico, non possiamo qualificare una persona come NON SIMPATICA in accezione negativa.

Il NON patire insieme, tra l’altro, a volte, può essere una inestimabile fortuna.

SI.

19 mercoledì Nov 2014

Posted by Donna Abelarda in Coffee of the day

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NO a chi parla sempre con lo stesso tono.
SI a chi vuole intendere e intende, in tenda o in camper.
NO a chi non sa pedalare ma mette a te i bastoni tra le ruote.
SI a chi ti offre un caffè e non vuole la tua anima in cambio.
NO ai sensi unici.
SI alla consapevolezza di sé.
NO a chi non legge ma ha già capito.
SI alle intenzioni.
NO agli intenditori.
SI a chi crede, senza bisogno di toccare.
NO al partito preso. Soprattutto se non sai qual è.
SI a chi si spoglia la mente ancor prima della carne.
NO alle premesse.
SI al profumo di donna.
NO alle suppliche.
SI alle provocazioni.
NO all’idolatria.
SI alle idee.
NO alle armi da fuoco.
SI alle parole pungenti.
NO alla voce alta.
SI alla testa alta.
NO agli schieramenti.
SI agli schienamenti, sul tappeto, con tuo figlio.
SI a chi ha paura. E va avanti Nonostante.
NO a chi dice di non averne mai.
SI all’amaro.
NO all’amarezza.
SI al caffè. Con Te.
NO a chi interpreta.
SI a chi E’.

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