Oggi il caffè lo beviamo con Alessandra Comazzi.
Ho provato a tracciarne un ritratto che avesse come pilastro la sua indiscutibile personalità e come sfumatura, importante quanto il pilastro, il suo aspetto più umano. Sono felice, emozionata ed onorata di intervistare questa grande donna.
Spettacolo e professionalità: due elementi che sembrano non poter convivere nel mondo di oggi, così pieno di luci che, quando si abbassano, lasciano solo un grande niente. Ed invece Alessandra è riuscita a sposare la professionalità del giornalista con la leggerezza dello spettacolo e a far coesistere questo binomio infernale! Torinese, giornalista, bandiera della critica televisiva, sommelier, fondatrice di TorinoSette.
Quali sono gli ingredienti per un buon giornalismo?
I fatti. Sono i fatti e il loro racconto, gli ingredienti principali. Giornalismo è raccontare quello che è accaduto, ponendosi al servizio del lettore/spettatore/ascoltatore/navigante su internet. Bisogna ricordare le cinque classiche “W” del giornalismo anglosassone, what, who, when, were, why, che cosa, chi, quando, dove, perché. E bisogna scrivere bene, senza sciatteria. Informandosi sempre, cercando le fonti, chiedendo.
Lavorativamente, una persona che porti nel cuore?
Gaetano Scardocchia, il più grande direttore della Stampa dopo Giulio Debenedetti. Negli Anni Ottanta, aveva anticipato i tempi inventando il giornale a fascicoli. Gli piaceva scoprire talenti. Sceglieva una persona, e le dava fiducia. E Franco Pierini, mio caporedattore ai tempi di Torino7: un grande maestro.
Perchè la televisione è così ambita oggi? Eppure non è certo una novità che il successo facile, quando non è supportato dal talento, mieta tante vittime. Sono le prospettive di guadagno? O è la popolarità, il desiderio di affermarsi a tutti i costi? Vedi la tv come il rifugio per molti che non hanno trovato la propria strada? Forse è passaggio il messaggio che per fare televisione non sia necessaria la cultura, la preparazione…basta essere nel posto giusto al momento giusto, avere un bel viso, un bel corpo, essere “disposti a tutto”. Sei d’accordo?
Come dice Andy Warhol, la televisione concede un quarto d’ora di notorietà a tutti coloro che vi accedono. E un po’ di notorietà è una chimera per molti. La televisione degli inizi era fatta da grandi professionisti: poi è prevalso il modello, molto più economico, di una televisione realizzata dalla “gente comune”, disposta a tutto pur di partecipare. E per partecipare, è vero, non servono più talento, preparazione e cultura. Anzi, la televisione degli ultimi anni ha esaltato l’improvvisazione. Sono convinta che sia un errore. Che non sia, alla fine, molto divertente, vedere i personaggi che fanno la loro gavetta davanti ai nostri occhi di telespettatori. Infatti i programmi stanno perdendo ascolti e seguito. La professionalità premia, ma certo è un investimento, richiede pazienza, partecipare a un reality è più veloce che frequentare l’Accademia d’arte drammatica. Dove i criteri di ammissioni non sono soltanto la bella presenza e la potenzialità a diventare “personaggio”.
La televisione, come contenitore, contenuto e come pubblico è cambiata in questi decenni: a volte si è voluta, a volte si è decisamente stravolta e non è detto che si sia stravolta in meglio! Pensiamo per esempio ai reality e ai talent, due format che nel 2000 sono saliti in cattedra: che ruolo attribuisci loro nella società di oggi? La tv ne sta abusando?
Appena la tv trova un filone che funziona, lo percorre sino alla nausea. Quindi sì, di reality e talent le reti stanno abusando. Ma il contraccolpo è già arrivato: cioè il pubblico che si stufa, soprattutto dei reality. Tant’è vero che il Grande Fratello è stato fermo un paio di stagioni, e quest’ultima edizione è stata seguita poco. Diverso forse il discorso dei talent, che a volte qualche talento lo scovano davvero. Solo che ce ne sono troppi, e dunque il pubblico alla fine li rifiuta. Però sono sempre convenienti, perché riempiono le serate e costano poco.
La donna in tv, ieri e oggi: quante differenze. Meglio prima o adesso? Ti piace la donna in tv oggi?
La televisione è sbarcata in Italia nel 1954: allora le ballerine portavano i mutandoni. Poi arrivarono le gemelle Kessler con la calzamaglia spessa del da-da-umpa, poi Raffaella Carrà sdoganò l’ombelico scoperto. Quando la Rai perse il monopolio, e sugli schermi irruppero le reti private, bisognava attirare gli spettatori. Anche con il corpo delle donne, che cominciò a essere esibito. Ballerine con il filo interdentale nel sedere, vestiti da sera scollati a tutte le ore del giorno. Volgarità e cattivo gusto. Corpi esibiti con la complicità delle donne stesse. Che hanno cambiato il vecchio slogan femminista “Il corpo è mio e lo gestisco io” con il “il corpo è mio, lo gestisco io e lo spoglio in tv”.
Che cosa pensi delle donne che, specialmente negli ultimi tempi, chiedono a gran voce, anche con i numeri, la PARITA’? Questa parità, reclamata a gran voce, bisogna davvero chiederla ed esigerla con dei numeri, delle quote? Non ti sembra un “contentino”? Non potremmo mai conoscere il vero valore di una donna se siamo stati “costretti” ad averla nel nostro organico. Che cosa ne pensi? Abbiamo ancora questa cultura della “femmina” più che della donna, quindi di capacità inferiori, di casalinga-moglie-madre?
Le quote rosa sarebbero in effetti una sciocchezza se non esistesse davvero il cosiddetto “soffitto di cristallo”. Quello che fa sì che quando una donna, meglio preparata e brillante di un uomo, sta per arrivare a posizioni lavorative elevate, viene fermata dal soffitto di cristallo rappresentato dall’alleanza maschile. Che scatta, infallibile. E poi ‘sto fatto che bisogna essere sempre brave tre volte un uomo, per occupare la sua stessa posizione. E’ proprio vero! Vedremo adesso che cosa capiterà, con le generazioni dei “nativi digitali”. Io dico sempre scherzando, ma fino a un certo punto: guarda in America, piuttosto che eleggere presidente una donna, hanno scelto un nero… E adesso che devono far fare una figuraccia a un politico, a un vicepresidente degli Stati Uniti, nella serie “Vice”, a chi la fanno fare, questa figura da deficiente? A un vicepresidente donna.
Cosa ammiri nelle donne e cosa negli uomini?
Ecco, qui non farei un discorso di genere. Ammiro le stesse cose nelle persone. Spirito di adattamento, lealtà, amore per il lavoro.
Si può cambiare il proprio modo di essere, per amore di una persona, per amore del proprio lavoro? Se si, è giusto farlo?
Ma, sinceramente credo che si possa anche provare, ma i risultati sono circoscritti. D’altronde, tu vorresti che una persona cambiasse per amor tuo? Io no. Se mi piace, mi deve piacere quella lì, con tutte le sue caratteristiche. Altrimenti si cambia persona. O lavoro. Quindi no, non si deve cambiare per amore o per lavoro. Perché poi esce il bluff.
Tu riesci a dare tanto attraverso la tua critica a milioni di persone. Hai dato tanta qualità alla televisione. E a te che cosa ha dato, che cosa dà la televisione? La guardi per svago oppure “l’occhio clinico” non e quindi guardare la televisione è un lavoro?
Intanto grazie per le cose che mi dici, troppo gentile. A me la televisione ha dato un modo per sviluppare il giornalismo che più mi piace, quello dello spettacolo. Non ho più molta voglia di vederla, quando non è per lavoro, per preparare le recensioni. Quando la guardo per svago, guardo i film e i telefilm (alcune serie americane, soprattutto, Dr House o Castle mi piacciono). Non male, come tv di intrattenimento, anche la serie di Montalbano, a esempio, o la prime edizioni di “Tutti pazzi per amore”.
Sei esattamente dove vorresti essere?
Se torno a nascere, vorrei nascere a New York.
I giovani e la precarietà, i compromessi. Tu hai iniziato giovanissima una carriera straordinaria. Nel mondo dei social, del digitale, del “tutto fruibile subito” credi che i giovani si siano impigriti, che abbiamo meno ambizione? Come ci si può destreggiare in questa giungla in cui siamo sempre di più, tutti a gomiti larghi, in cui la raccomandazione viene prima del merito? Possiamo combattere questa mela marcia dei nostri giorni?
Io non ho figli, quindi non mi permetto di giudicare. Ciò premesso, mi sembra che la mia generazione abbia protetto un po’ troppo i ragazzi. Le mie amiche insegnanti dicono che ormai non possono nemmeno sgridare un allievo, che accorrono i genitori a difenderlo. Se la maestra dava una nota a me, a casa mi prendevo una sgridata e/o una sberla, altro che giustificarmi. Purtroppo, l’impoverimento della classe media, la concentrazione della ricchezza nuovamente nelle mani di pochi, ha influito nefastamente sulla scuola. E il ’68, alla fine, ha fatto danni. In epoca precedente, non era facile studiare, per chi non aveva mezzi. Ma se riusciva a studiare, poi era talmente preparato da trovarsi alla pari con gli altri. Adesso se un ragazzo non ha la famiglia che lo sostiene mandandolo a studiare all’estero, o, nei casi negativi e purtroppo così diffusi, raccomandandolo, non riesce a ottenerlo nemmeno di lontano, e nemmeno precario, un lavoro. Questo è aberrante. E per questo io ho scoperto una vocazione tardiva per il mondo sindacale. Sono presidente dell’Associazione Stampa Subalpina, e credo che soltanto uniti si possa ottenere qualcosa. Senza proteggere soltanto i garantiti, ma cercando spazi nuovi per i giovani, nei nuovi contesti. E’ tremendamente difficile.
Mi dici la ricetta del “Buon Vivere”?
Magari l’avessi. Comunque cerco di applicare nella vita le regole che uso anche per le mie critiche tv: leggerezza, distacco dalle emozioni, e rispetto per l’interlocutore.
Ti piace il caffè?
Molto. Mi piacerebbe bere il caffè della napoletana, come quella di Eduardo in “Questi fantasmi”. Mi sono un po’ convertita alle cialde, però. Faccio male?
Perchè hai accettato questa intervista? 🙂
Perché ti voglio bene. Perché mi onora che tu abbia pensato a me. Perché credo nel tuo blog. Buon lavoro.